50 anni fa, Paolo VI in Terra Santa. Giovagnoli: gesto straordinario nello spirito
del Concilio
Il 4 gennaio di 50 anni fa, iniziava la storica visita di Paolo VI in Terra Santa,
primo viaggio internazionale di un Papa nell’era contemporanea. Papa Montini, eletto
da soli sei mesi, decise di compiere questo pellegrinaggio in profonda consonanza
con il Concilio Vaticano II che si sarebbe concluso l’anno dopo. Sull’importanza di
questo anniversario e la sua attualità, Alessandro Gisotti ha intervistato
il prof. Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea alla “Cattolica”
di Milano:
R. - Per certi
versi in questo gesto sembra di vedere quasi un’anticipazione di quell’invito che
abbiamo sentito recentemente da Papa Francesco, cioè l’invito ad uscire, ad una Chiesa
che non sia più autoreferenziale ma che vada incontro agli altri. Certamente, il viaggio
di Paolo VI si colloca profondamente dentro lo spirito conciliare, che era proprio
questo: lo spirito dell’apertura, dell’incontro. Soprattutto, è una Chiesa che va
nel mondo, attraverso la figura del suo massimo rappresentante, il Papa, e non attende
dentro la realtà di Roma ma si muove verso il mondo e soprattutto ritorna alle origini,
alle radici rappresentate da Gerusalemme. Era la prima volta che un Papa si recava
in Terra Santa.
D. – Ormai siamo abituati a Papi che viaggiano per il mondo
dopo il “Pontificato itinerante” - come è stato detto per Karol Wojtyla – però all’epoca
fu veramente qualcosa di straordinario…
R. – Fu un evento assolutamente clamoroso.
Per molti anni il Papa non era uscito dal Vaticano: Giovanni XXIII aveva compiuto
due brevi viaggi ad Assisi e Loreto; il primo Papa che esce dall’Italia e che compirà
poi nove viaggi altamente simbolici in tutto il mondo è stato proprio Paolo VI. L’evento,
non a caso, è stato di grande impatto anche sull’opinione pubblica, trasmesso e seguito
dalla televisione in un modo straordinario suscitò per Paolo VI una grande popolarità.
Quando è tornato a Roma, i romani gli fecero spontaneamente una calorosissima accoglienza,
una cosa piuttosto inusuale in una città “abituata” al Papa. Certamente, tutti avevano
avvertito l’emozione di quella grande novità rappresentata da questa sua uscita da
Roma, dall’Italia e questo suo portare la Chiesa nel mondo.
D. – L’evento
che lasciò un po’ il segno del viaggio, di questa visita fu l’abbraccio con il Patriarca
Atenagora, proprio in quel senso di fraternità di cui parla il messaggio di Papa Francesco
per la Giornata della Pace…
R. – Sì, non c’è dubbio. Il viaggio avviene mentre
al Concilio Vaticano II si discute delle religioni non cristiane; la Palestina – che
visita Paolo VI – è terra di molte religioni. Quindi, c’è anche questo sullo sfondo.
Ma il cuore del viaggio è certamente l’incontro con il Patriarca Atenagora, un incontro
anche umanamente molto intenso e l’immagine dell’abbraccio fra Paolo VI ed Atenagora
ebbe un effetto sconvolgente: il mondo cattolico non era abituato ad un rappresentante
di un’altra confessione cristiana messo quasi sullo stesso piano del Papa, dal Papa
stesso, che in quell’abbraccio esprimeva rispetto, venerazione, amicizia e molto altro.
Questo gesto è stato così intenso proprio perché avveniva dopo nove secoli di divisione
e dopo che le due Chiese si erano scomunicate a vicenda. Dunque, direi che è stato
uno dei gesti principali, il più importante nella storia dell’ecumenismo contemporaneo,
perché ha rotto questo muro - che durava appunto da nove secoli – ed ha aperto orizzonti
assolutamente nuovi ed impensabili fino a pochi anni prima.