Il Papa nella Chiesa del Gesù: il Vangelo si annuncia con dolcezza e amore, non con
le bastonate
Papa Francesco ha presieduto stamani nella Chiesa del Gesù la Messa nel giorno della
ricorrenza liturgica del Santissimo Nome di Gesù. La celebrazione ha un carattere
di ringraziamento per l’iscrizione al catalogo dei Santi, il 17 dicembre scorso, di
Pietro Favre, primo sacerdote gesuita. Sono presenti il cardinale Angelo Amato, prefetto
della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale vicario Agostino Vallini,
il vescovo di Annecy, mons. Yves Boivineau, nella cui diocesi è nato Favre, e circa
350 gesuiti.
Nell’omelia il Papa ha ricordato quanto dice San Paolo: «Abbiate
gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli pur essendo nella condizione di Dio, non
ritenne un privilegio l’essere come Dio ma svuotò se stesso assumendo una condizione
di servo» (Fil 2, 5-7). “Noi, gesuiti – ha rilevato - vogliamo essere insigniti del
nome di Gesù, militare sotto il vessillo della sua Croce, e questo significa: avere
gli stessi sentimenti di Cristo. Significa pensare come Lui, voler bene come Lui,
vedere come Lui, camminare come Lui. Significa fare ciò che ha fatto Lui e con i
suoi stessi sentimenti, con i sentimenti del suo Cuore”.
“Il cuore di Cristo
– ha proseguito - è il cuore di un Dio che, per amore, si è «svuotato». Ognuno di
noi, gesuiti, che segue Gesù dovrebbe essere disposto a svuotare se stesso. Siamo
chiamati a questo abbassamento: essere degli «svuotati». Essere uomini che non devono
vivere centrati su se stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la sua Chiesa.
E Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese
non è al centro, la Compagnia si disorienta. Per questo, essere gesuita significa
essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto: perché pensa sempre
guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza
sosta. E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Quella santa e bella inquietudine!”.
Il
Papa ha quindi proseguito: “Ma, perché peccatori, possiamo chiederci se il nostro
cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato; se
il nostro cuore è sempre in tensione: un cuore che non si adagia, non si chiude in
se stesso, ma che batte il ritmo di un cammino da compiere insieme a tutto il popolo
fedele di Dio. Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e
sempre. Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine
anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il kerygma, di evangelizzare
con coraggio. È l’inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità
apostolica. Senza inquietudine siamo sterili”.
“È questa l’inquietudine –
ha osservato - che aveva Pietro Favre, uomo di grandi desideri, un altro Daniele.
Favre era un «uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore e dotato del dono
di stringere rapporti di amicizia con persone di ogni genere» (Benedetto XVI, Discorso
ai gesuiti, 22 aprile 2006). Tuttavia, era pure uno spirito inquieto, indeciso, mai
soddisfatto. Sotto la guida di sant’Ignazio ha imparato a unire la sua sensibilità
irrequieta ma anche dolce e direi squisita, con la capacità di prendere decisioni.
Era un uomo di grandi desideri; si è fatto carico dei suoi desideri, li ha riconosciuti.
Anzi per Favre, è proprio quando si propongono cose difficili che si manifesta il
vero spirito che muove all’azione (cfr Memoriale, 301). Una fede autentica implica
sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo. Ecco la domanda che dobbiamo porci:
abbiamo anche noi grandi visioni e slancio? Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno
vola alto? Lo zelo ci divora (cfr Sal 69,10)? Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo
delle nostre programmazioni apostoliche da laboratorio? Ricordiamolo sempre: la forza
della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde
nelle acque profonde di Dio. E queste acque agitano i nostri desideri e i desideri
allargano il cuore. Quello di Sant’Agostino: ‘Pregare per desiderare e desiderare
per allargare il cuore’. Proprio nei desideri Favre poteva discernere la voce di Dio.
Senza desideri non si va da nessuna parte ed è per questo che bisogna offrire i propri
desideri al Signore. Nelle Costituzioni si dice che «si aiuta il prossimo con i desideri
presentati a Dio nostro Signore» (Costituzioni, 638)”.
“Favre – ha ancora detto
il Papa - aveva il vero e profondo desiderio di «essere dilatato in Dio»: era completamente
centrato in Dio, e per questo poteva andare, in spirito di obbedienza, spesso anche
a piedi, dovunque per l’Europa, a dialogare con tutti con dolcezza, e ad annunciare
il Vangelo” E a braccio ha aggiunto: “.Mi viene da pensare alla tentazione, che forse
possiamo avere noi e che tanti hanno, di collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate
inquisitorie, di condanna. No, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità,
con amore”. Quindi ha proseguito: “La sua familiarità con Dio lo portava a capire
che l’esperienza interiore e la vita apostolica vanno sempre insieme. Scrive nel
suo Memoriale che il primo movimento del cuore deve essere quello di «desiderare ciò
che è essenziale e originario, cioè che il primo posto sia lasciato alla sollecitudine
perfetta di trovare Dio nostro Signore» (Memoriale, 63). Favre prova il desiderio
di «lasciare che Cristo occupi il centro del cuore» (Memoriale, 68). Solo se si è
centrati in Dio è possibile andare verso le periferie del mondo! E Favre ha viaggiato
senza sosta anche sulle frontiere geografiche tanto che si diceva di lui: «pare che
sia nato per non stare fermo da nessuna parte» (MI, Epistolae I, 362). Favre era
divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore. Se noi non abbiamo il suo
stesso desiderio, allora abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore
silenzioso, chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro, che
torni ad affascinarci. Quel fascino del Signore che portava Pietro a tutte queste
pazzie apostoliche …”.
Il Papa così ha concluso la sua omelia: “Noi siamo
uomini in tensione, siamo anche uomini contraddittori e incoerenti, peccatori, tutti.
Ma uomini che vogliono camminare sotto lo sguardo di Gesù. Noi siamo piccoli, siamo
peccatori, ma vogliamo militare sotto il vessillo della Croce nella Compagnia insignita
del nome di Gesù. Noi che siamo egoisti, vogliamo tuttavia vivere una vita agitata
da grandi desideri. Rinnoviamo allora la nostra oblazione all’Eterno Signore dell’universo
perché con l’aiuto della sua Madre gloriosa possiamo volere, desiderare e vivere i
sentimenti di Cristo che svuotò se stesso. Come scriveva san Pietro Favre, «non cerchiamo
mai in questa vita un nome che non si riallacci a quello di Gesù» (Memoriale, 205).
E preghiamo la Madonna di essere messi con il suo Figlio”.