Cambogia. Scontri tra polizia e lavoratori tessili a Phnom Penh: 5 morti, decine di
feriti
Sono almeno cinque i morti e decine i feriti, a Phnom Penh, in Cambogia, a causa della
polizia militare che ieri ha aperto il fuoco su centinaia di lavoratori tessili che
manifestavano per un salario minimo più alto. Gli operai sono in protesta dallo scorso
dicembre per ottenere un aumento delle retribuzioni minime a 160 dollari al mese,
dagli attuali 80. Il governo di Hun Sen ha promesso di portare i salari a 95 dollari
entro il prossimo aprile, una prospettiva che però non soddisfa i 650mila lavoratori
tessili cambogiani, spina dorsale del settore che sostiene le esportazioni nazionali.
Ma quali sono le condizioni di questi lavoratori? Marina Tomarro lo ha chiesto
a Debora Lucchetti, coordinatrice della Campagna internazionale “Abiti puliti”
che difende i diritti fondamentali dei lavoratori nel settore tessile:
R. – In Cambogia,
ci sono migliaia di lavoratori che manifestano per chiedere un aumento del salario
minimo: stiamo parlando di lavoratori e lavoratrici che guadagnano mediatamente 60
euro al mese, che è un salario assolutamente al di sotto della soglia di sopravvivenza.
Noi abbiamo calcolato, asnsieme ai nostri partner asiatici, che un salario dignitoso
equivarrebbe a circa 285 euro. Quindi, immaginate quale sia la differenza tra quello
che questi lavoratori percepiscono e i loro bisogni fondamentali e i loro diritti.
La situazione è caldissima ed è veramente preoccupante. Se pensiamo che questi lavoratori
e queste lavoratrici – che peraltro sono parte del cuore pulsante dell’industria tessile
internazionale e globale, che serve i grandi marchi della moda e dell’abbigliamento
internazionale – semplicemente per aver richiesto un adeguamento del salario si sono
trovati di fronte a uno Stato che addirittura ha aperto il fuoco...
D. – Quali
sono le condizioni in cui queste persone lavorano?
R. – Parliamo in realtà
non di lavoro, ma quasi di schiavitù. Si tratta di condizioni di lavoro che significano
concretamente lavorare 12-13 ore al giorno, con turni massacranti, con straordinari
praticamente obbligatori, perché proprio grazie all’accumulo di ore straordinarie
si può portare a casa uno stipendio, un salario lievemente maggiore rispetto a quello
minimo consentito per legge in questo momento. Si tratta di condizioni di insicurezza,
di repressione sindacale, perché - come stiamo vedendo - non appena i lavoratori alzano
la testa per chiedere quanto gli spetta, la risposta è la repressione, addirittura
con le armi e con fuoco. Si stima che l’85% delle fabbriche tessili cambogiane appartengano,
appunto, a investitori esteri, specialmente cinesi, taiwanesi, della Malesya, di Singapore…
I principali marchi che lavorano e che si approvvigionano in questo Paese per i loro
prodotti di abbigliamento e anche calzaturiero sono grandi marchi presenti nei corsi
delle nostre città.
D. – Quali sono le condizioni di vita nel Paese, invece?
R.
– Le condizioni di vita sono sicuramente non semplici. Purtroppo, molti lavoratori
abbandonano spesso le campagne per entrare nell’industria e nelle fabbriche proprio
per cercare delle condizioni di vita migliori. Quindi è una situazione, per così dire,
di classica guerra fra poveri. Una situazione in cui si va alla ricerca di un lavoro
nell’industria, di un lavoro operaio per sfuggire a condizioni di vita difficili,
molto spesso vincolate all’agricoltura… Il problema però è che non si incontrano condizioni
di vita migliori, ma si va semplicemente a incrementare una situazione di sottosviluppo
e di totale dipendenza da quelli che sono poi i poteri finanziari e gli investitori
esteri, che non hanno alcun interesse a far in modo che questo Paese acquisisca una
propria autonomia, sia economica, sia culturale, sia sociale.
D. – Qual è il
ruolo del governo in questa situazione così difficile?
R. – In questo momento,
il governo cambogiano sta venendo meno a un dovere fondamentale, che è quello di proteggere
i propri cittadini da quegli abusi che appunto gli investitori esteri e la grande
impresa compiono nei confronti dei propri cittadini ed abitanti. Quindi, il governo
sta avendo una posizione molto difficile e molto dura, perché anziché trovare una
mediazione, si allea con i poteri economici, arrivando addirittura a reprimere le
istanze, che sono istanze di base, della sua popolazione. Quindi, una posizione decisamente
inaccettabile.