2014-01-02 14:33:51

Sud Sudan: al via i colloqui tra governo e ribelli, ma gli scontri non si arrestano


Non si fermano le ostilità in Sud Sudan: in due provincie del Paese, dove sono in corso violenti scontri tra forze fedeli al presidente Salva Kiir e i ribelli, è stato dichiarato lo stato di emergenza. Intanto, hanno preso il via i colloqui informali tra le parti, mediati dall’Etiopia. Il servizio di Davide Maggiore:RealAudioMP3

Lo stato di emergenza è in vigore negli stati di Jonglei e Unity, di cui i ribelli controllano i capoluoghi. È la prima volta, dall’inizio dei combattimenti - a metà dicembre - che il capo dello Stato, Salva Kiir, fa uso di questo potere. A Juba è stata costituita anche un’unità di crisi, affidata direttamente al vicepresidente James Wani Igga, mentre dal terreno giunge la notizia che migliaia di soldati governativi sono stati inviati a Bor, in Jonglei, nel tentativo di riprenderla dalle mani dei ribelli: i media locali hanno segnalato inoltre episodi di saccheggio, soprattutto ai danni di commercianti stranieri che si trovavano ancora in città. In questo clima sono arrivati in Etiopia, ad Addis Abeba, gli otto negoziatori governativi, che devono incontrare quelli scelti dal leader dei ribelli, Riek Machar, per iniziare i colloqui voluti dai Paesi della regione: la speranza dei mediatori è quella di arrivare almeno all’accordo per un cessate-il-fuoco.

Nonostante le trattative faticosamente avviate, però, gli scontri si stanno estendendo ad altre parti del Paese. Davide Maggiore ha raccolto la testimonianza del dott. Paolo Setti Carraro, di Medici con l’Africa–Cuamm, che opera nell’ospedale di Lui, città nella provincia di Western Equatoria:RealAudioMP3

R. – Nelle ultime due settimane gli scontri hanno coinvolto principalmente cinque Stati a Nord e ad Est del Paese. Questa mattina, purtroppo, c’è stato uno scontro: c’è stata un’imboscata, ed è stato attaccato un accampamento di soldati, a cinque miglia circa da Mundri, grossa città della Western Equatoria. Quindi anche in questo Stato sembra che comincino i conflitti. Questo accampamento è stato attaccato da persone non identificate, che hanno sparato ai soldati che stavano riposando. Al momento abbiamo due morti e dieci feriti.

D. – In che condizioni vi trovate a operare, a dover curare i feriti?

R. – La situazione è questa: io sono l’unico chirurgo dell’ospedale, ho due tecnici di anestesia che mi assistono e poi c’è il personale infermieristico, sia nazionale sia internazionale. Quindi, la situazione è quella di dover far fronte a queste emergenze con uno staff in numero limitato.

D. – Negli scorsi giorni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato anche un allarme appunto per la carenza di personale sanitario e il rischio che si possano diffondere epidemie, in seguito alla fuga del personale dalle zone in conflitto. Qual è la situazione umanitaria nell’area in cui lei si trova, nel Western Equatoria?

R. – Quest’ospedale è un ospedale che serve tre contee, quindi circa 150 mila abitanti, ed è l’unico ospedale di queste tre contee. Più a Nord c’è l’ospedale di Yirol, dove in questo momento ci sono due medici italiani del Cuamm, che cominciano, anche loro, ad avere problemi, perché si sta combattendo a circa 20 km dalla città. Ci sono scaramucce un po’ in tutto il Paese. Il grosso problema è che la città di Bor, che era stata conquistata da Kiir tre giorni fa, è poi ricaduta nelle mani dei ribelli a distanza di 24 ore. Quindi, quello che ci si aspetta in questo momento è un’apertura di piccoli fronti sparsi per il resto del Paese e, forse, prossimamente un attacco a Juba, che sarebbe veramente un disastro umanitario. In questo momento soltanto da Bor sono fuggite, tre giorni fa, circa 25 mila persone. Tutti i centri delle Nazioni Unite, tutti i campi dell'Onu, accolgono sfollati e, al momento, sono circa 110 mila gli sfollati sotto la protezione delle Nazioni Unite. Ci sono dei grossi problemi di conflittualità, all’interno dei campi e tra l’interno e l’esterno dei campi: tentativi di vendette tribali, a cavallo dei confini dei campi; gente che esce e viene assalita; episodi di linciaggio all’interno dei campi tra persone di etnia diversa. E questo è un grossissimo problema per tutti quanti.

D. - Migliaia di soldati in movimento. Nel Western Equatoria com’è la situazione?

R. – La popolazione civile ha molta paura. Qui, la popolazione è prevalentemente moru e non ha nulla a che vedere né con i dinka né con i nuer. Sono, dunque, estranei allo scontro tribale. Soffrono, però, tale scontro, perché ci sono episodi di violenza sulle donne, di furti, di saccheggi di beni di prima necessità e quindi la gente sa che finirà con il pagare il prezzo di questi scontri, che non riguardano loro personalmente.

D. – Dovrebbero cominciare oggi ad Addis Abeba dei colloqui preliminari...

R. – Questa ipotesi di cessate-il-fuoco mi sembra abbastanza difficile da mantenere. Le truppe delle Nazioni Unite sono state rinforzate sulla carta, perché i contingenti arriveranno nella migliore delle ipotesi tra quattro o sei settimane dai Paesi confinanti.







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