2014-01-02 07:50:00

Kerry torna in Medio Oriente per rilanciare il processo di pace. Peggiorano le condizioni di Sharon, in coma dal 2006


Le condizioni dell'ex premier israeliano Ariel Sharon in coma dal 4 gennaio 2006, si sono aggravate di colpo e potrebbe spegnersi entro poche ore. Lo riferiscono i media israeliani. Sharon, 85 anni, avrebbe sofferto di un blocco renale. Intanto torna in Medio Oriente John Kerry, segretario di Stato Usa, per cercare di rilanciare il dialogo tra israeliani e palestinesi. Sentiamo Graziano Motta: 00:01:02:66


Sul processo di pace Davide Maggiore ha intervistato l'esperta dell'area Marcella Emiliani:00:03:20:47

R. – Siamo solo ai preliminari e non vengono ancora toccati quelli che sono i temi fondamentali del contenzioso: gli insediamenti israeliani in West Bank sono la condizione più importante, perché i palestinesi davvero si impegnino in questo negoziato. Sugli insediamenti, però, il premier israeliano Netanyahu non intende cedere, anzi nelle tornate di liberazione di palestinesi, che si sono avute da quando sono ripresi i colloqui di pace, tutte le volte che sono stati liberati i palestinesi, è stata parallelamente annunciata la costruzione di altre colonie.

D. – Trascorsa questa fase preliminare poi resteranno da affrontare diversi nodi...

R. – Nell’agenda di Kerry, ma solo nell’agenda di Kerry, ci sono dei temi enormi. Ad esempio, si procederà o non si procederà alla divisione di Gerusalemme come chiedono i palestinesi? Su questo gli israeliani “non ci sentono” e quindi difficilmente torneranno indietro. C’è il problema della sicurezza, ovviamente, e poi c’è un problema in più, che è quello dei rifugiati palestinesi in Medio Oriente. I campi profughi palestinesi, dagli accordi di Oslo del ’93 in poi, si sono sentiti abbandonati e quindi hanno cominciato ad articolare delle loro politiche, nei Paesi in cui sono ospitati. Va, dunque, rifatto un discorso su che fine faranno questi rifugiati.

D. – In questo quadro, che importanza ha la liberazione di 26 prigionieri palestinesi?

R. – Il valore di questa liberazione sta tutto nel fatto che testimonia comunque che sia Israele sia una parte dei palestinesi, cioè quella che fa capo ad Al Fatah e al presidente Abu Mazen, vogliono continuare a negoziare.

D. – Proprio Abu Mazen ha detto che non ci sarà alcun accordo con Israele finché non saranno liberati tutti i prigionieri palestinesi. Che valore hanno queste affermazioni?

R. – Queste sono affermazioni volte a mantenere unita l’opinione pubblica palestinese. Sia Abu Mazen sia Netanyahu hanno forti nemici interni, che sono contrari a questi colloqui. Quindi è chiaro che Abu Mazen deve mostrare alla sua opinione interna di avere comunque dei margini di azione, o se non altro di parola. Hamas ha contestato il diritto dell’Olp di essere l’unica a rappresentare la causa palestinese, ma formazioni afferenti all’Olp, quindi in teoria vicine ad Abu Mazen e ad Al Fatah, come il Fronte popolare di liberazione della Palestina, si dicono contrarie a questi negoziati, come a suo tempo si dissero contrarie agli accordi di Oslo.

D. – Ma anche Netanyahu, appunto, va incontro a resistenze, all’interno della politica israeliana: la decisione di Netanyahu di liberare i prigionieri palestinesi è stata contestata...

R. – Sì, è stata contestata innanzitutto dal Jewish Home Party. Non scordiamoci poi che l’attuale ministro degli Esteri israeliano, Lieberman, è da sempre contrario ad un accordo con i palestinesi, lui e il suo Beiteinu Party. Ma la cosa forse più importante per Netanyahu è che c’è tutta una fetta del suo stesso partito, il Likud, che non è d’accordo con la ripresa dei negoziati, anzi sono già uscite tutta una serie di affermazioni di appartenenti al Likud, come degli altri partiti della coalizione di governo ostili al negoziato, che definiscono questi prigionieri che sono stati liberati come “bombe a tempo”. Li vedono già, cioè, come futuri, possibili attentatori alla vita di civili israeliani.








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