Congo. Testimonianza di una famiglia bloccata a Kinshasa con i figli adottivi: il
Papa ci aiuti
La calma è tornata a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Il
ministro della Difesa, Luba Ntambo, ha infatti dichiarato che l’esercito controlla
"totalmente" la situazione, dopo una serie di attacchi contro la capitale Kinshasa
e Lumumbashi, capoluogo della provincia congolese del Katanga. Gli scontri hanno accresciuto
i disagi delle 24 famiglie italiane bloccate da più di un mese, con i loro figli adottivi,
nella capitale congolese per lo stop delle adozioni internazionali deciso dal governo
africano. Il premier italiano, Enrico Letta ha garantito che Roma sta lavorando per
risolvere al più presto la vicenda. Palazzo Chigi, inoltre, spiega che il Congo stesso
si sarebbe impegnato a velocizzare il riesame delle adozioni. Il 27 dicembre i genitori
avevano incontrato le delegazione italiana giunta nel Paese per risolvere la situazione,
ricevendo però brutte notizie. Lo conferma Massimo De Toma, cittadino italiano,
con la moglie Roberta, a Kinshasa ormai dal 13 novembre. L'intervista è di Fabio
Colagrande:
R. - La delegazione
ci ha ricevuto in ambasciata e ci ha riferito ciò che la Dgm (Direzione generale della
migrazione congolese - ndr) ha loro detto e cioè che non c’erano le ragioni per rinnovarci
i visti e che quindi saremmo potuti tornare in Italia, senza chiaramente i nostri
figli in questo caso... Inoltre, hanno detto loro che avrebbero dato garanzie sui
nostri figli, che avrebbero esaminato nel più breve tempo possibile i dossier, ma
che chiaramente tutte queste operazioni avrebbero richiesto evidentemente del tempo.
Gli interlocutori congolesi non sono stati in grado di fornire una data certa del
termine di questi controlli.
D. - Quindi, praticamente vi hanno detto che
dovete rientrare in Italia senza i bambini e che le vostre pratiche devono essere
ancora esaminate…
R. - Dovranno essere controllate, così come anche il post-adozione.
Quindi, una delegazione di autorità congolesi si dovrà recare in Italia per verificare
le pratiche post-adottive. Questo è quello che la Dgm ha riferito alla delegazione.
D. - Vogliamo spiegare a chi ci ascolta cos’è la Dgm, di cui lei parla?
R.
- Sì. La Dgm è praticamente la Direzione generale della migrazione, un ente di polizia
e di controllo delle dogane congolesi: l’autorità quindi che rilascia i visti per
i cittadini congolesi che escono dal Paese. Tra l’altro, vorrei anche specificare
che i nostri figli sono a tutti gli effetti, con sentenza, figli di famiglie italiane,
ma attualmente sono ancora cittadini congolesi. Per cui, necessita il visto di uscita
di queste autorità.
D. - Ed è proprio l’assenza di questo visto che vi ha
tenuto bloccati così a lungo a Kinshasa?
R. - Esatto. Tra l’altro, le posso
anche dire che questa sarebbe una pura formalità, perché tutte le pratiche adottive
sono state concluse.
D. - Arrivano inoltre notizie preoccupanti da Kinshasa,
dove voi vi trovate, e dove ci sarebbero state diverse sparatorie. Questo ovviamente
accresce il vostro disagio…
R. - Esatto. Ma oltre al disagio, siamo molto preoccupati.
Siamo preoccupati per noi, siamo preoccupati per i nostri figli. Noi abbiamo già informato
la Farnesina, abbiamo informato l’ambasciata e siamo in attesa di sapere cosa fare.
Noi vogliamo tornare in Italia con i nostri figli! A questo punto, vorremmo un’azione
forte, perché qui non siamo più sicuri. Non possiamo garantire la sicurezza né nostra
né dei nostri figli. Nostra figlia ormai ha stretto ormai il legame familiare, che
non ci saremmo aspettati… Abbiamo dovuto iniziare a informarli del fatto che potremmo
partire e doverli lasciare qui, per ritornare poi… Chiaramente, le posso dire che
i bambini sono anch’essi molto colpiti e molto tristi per questa situazione e, a maggior
ragione, purtroppo con queste notizie drammatiche che giungono dalla città. Vogliamo
fare l’appello che abbiamo fatto sempre: vorremmo che tutti - veramente tutti! - facessero
il massimo per riportarci a casa con i nostri figli. I nostri iter sono terminati,
aspettare il visto non è un motivo per bloccare le famiglie qui. Noi pensiamo che
il governo possa fare di più e chiediamo che il Papa possa intervenire direttamente.
Questo è un Paese che ha il 70% di popolazione cattolica. Parliamo di famiglie, non
parliamo di commercio, non parliamo di armi, parliamo di bambini che soffrono. L’interesse
primario delle famiglie e degli Stati deve essere il bene dei bambini.