Un 2013 diffficile per la Comunità internazionale: la riflessione di Fulvio Scaglione
Il 2013 volge al termine: è stato un anno denso di avvenimenti e crisi politiche,
sociali ed economiche di vaste proporzioni sulla scena mondiale; pochi i successi
diplomatici. Purtroppo non sono mancate anche catastrofi naturali che hanno messo
in ginocchio le Filippine, l’Australia, la Somalia, con migliaia di morti e sfollati.
A preoccupare ancora la Comunità internazionale è la sempre irrisolta questione israelo-palestinese,
il riaccendersi delle “primavere arabe” e la guerra in Siria. Con Fulvio Scaglione,
vicedirettore di Famiglia Cristiana, partiamo proprio da questo scenario per tracciare
un primo bilancio. L’intervista è di Cecilia Seppia:
R. - Il quadro
che troviamo in Medio Oriente è quello di uno scontro armato, di una guerra combattuta
tra sunniti e sciiti che attraversa ormai tutta la Regione, dal Libano alla Siria
all’Iraq, con modalità diverse, ma sempre all’ombra della stessa bandiera che è appunto
quella di questo conflitto. Naturalmente la situazione più grave - anche per il numero
delle vittime - è quella della Siria, e come ben conosciamo siamo ormai a 125 mila
morti, con ripercussioni sull’intero sistema geopolitico mondiale.
D. – Forse
in questo scenario, un aspetto positivo per quanto riguarda quest’area, è l’accordo
sul nucleare iraniano, con Teheran che per la prima volta autorizza controlli da parte
di ispettori internazionali nelle centrali in cui si arricchisce l’uranio …
R.
- Certamente questa è una bella prospettiva! E parlo di prospettiva perché, come si
sa, è un accordo provvisorio che deve durare al massimo sei mesi per essere poi sostituito
da un accordo più definitivo. Paradossalmente, proprio le prospettive di una distensione
tra gli Stati Uniti in primo luogo, l’Occidente in generale, e l’Iran dall’altra parte,
sembrano avere inasprito il conflitto di cui si parlava prima nel Medio Oriente, perché
il ritorno dell’Iran non più nel ruolo di semplice e puro "Stato canaglia", ma di
interlocutore diplomatico politico per quanto riguarda il Medio Oriente non piace
a tutti, e in particolare, non piace all’Arabia Saudita.
D. - Altro protagonista
in negativo, il Continente africano colpito dal dilagare del fanatismo islamista che
alimenta i conflitti interni; penso alle stragi in Mali, in Centrafrica, in Nigeria
… E i conflitti di altra natura in Congo, quello recentissimo del Sud Sudan …
R.
- Certamente nel 2013 l’Africa ha fatto dei passi indietro soprattutto da due punti
di vista specifici che però non sono secondari. Il primo, la persecuzione dei cristiani
che continua imperterrita in tutto il mondo e in Africa si è accentuata; il secondo,
è che proprio questi conflitti hanno riattizzato delle pulsioni colonialiste, in particolare
da parte della Francia; comunque sono Paesi che hanno subìto anche nel corso di queste
guerre intestine atrocità notevolissime e crudelissime ai danni della popolazione.
D.
- Passiamo all’America e all’evidente perdita di influenza che gli Stati Uniti hanno
avuto in quest’anno colpiti al cuore dal Datagate, il più grande scandalo informatico
della storia recente, con forti proteste sia di nemici che di alleati storici …
R.
- Secondo me, il Datagate ha rivelato due cose: primo, che - dal punto di vista degli
interessi delle potenze - gli amici non esistono; esistono dei nemici e dei Paesi
che possono essere amici ma che comunque - appunto come si è visto - vengono ugualmente
spiati ricevendo lo stesso trattamento dei gruppi terroristici. L’altro aspetto secondo
me, è che - a dispetto di quanto ci viene raccontato quotidianamente, e cioè che tutto
questo serve a combattere il terrorismo - in realtà lo spionaggio internazionale ha
come primo obbiettivo le questioni economiche.
D. - Cina e il Continente asiatico,
la scalata di Pechino che consolida il suo ruolo di grande potenza economica e dà
il via anche a grandi riforme interne con l’entrata in vigore definitiva dell’allentamento
della politica del figlio unico, più l’abolizione dei campi di lavoro e di rieducazione
…
R. - Il regime cinese, che è criticato e criticabilissimo per una miriade
di aspetti, ha però - bisogna riconoscerlo - questa capacità di pensare avanti, di
guardare molto avanti e di anticipare i fenomeni. Lo abbiamo visto anche dal punto
di vista dell’espansione economica di Pechino: pensiamo alla penetrazione in Africa,
alla caccia alle risorse naturali che Pechino ha lanciato in Africa molto prima che
qualcuno pensasse, di fare altrettanto. E questo allentamento della politica del figlio
unico, come la consacrazione del mercato non più come struttura importante ma fondamentale
dell’atteggiamento cinese verso l’economia, dimostrano ancora una volta che Pechino
sa commettere atroci errori, ma sa anche poi riflettere sugli errori commessi e guardare
avanti.
D. - Chiudiamo con l’Europa, fiaccata da questioni politiche interne.
Nota dolente la funzione secondaria che il Vecchio continente ha avuto nella soluzione
delle grandi crisi mondiali e poi i contrasti tra europeisti ed euroscettici sul fronte
economico, tra fautori ed avversari dell’austerità, e poi il ruolo egemonico della
Germania …
R. - Per l’Europa si può dire esattamente il contrario di quanto
si è detto per la Cina: l’Europa manifesta e continua a manifestare - purtroppo -
un’assoluta incapacità di guardare avanti, di avere uno sguardo lungo sulla realtà
dei fenomeni internazionali. Ci ritroviamo così con un continente che ha una moneta
unica, delle strutture in comune e tutto il resto è ancora molto frammentato, diviso
da gelosie nazionali. È ovvio che in questo danno collettivo i più solidi e i più
seri - diciamolo pure - poi alla fine emergono. È il caso della Germania, che ha saputo
- non dimentichiamolo - varare più di dieci anni fa una serie di riforme che poi sono
risultate decisive. Detto questo, è chiaro che il ruolo egemonico della Germania necessita
di essere moderato e temperato. Dopo di che, il dibattito su austerità o crescita
è - a mio modesto parere - assolutamente ridicolo, perché non ci può essere crescita
per Paesi che sono nello sprofondo di un debito gigantesco come l’Italia, la Spagna,
il Portogallo e come è stata, fino a qualche tempo fa, l’Irlanda.
D. –Oltre
alla ripresa economica e alla fine dei conflitti, un auspicio per il 2014 potrebbe
essere quello di provare a sanare questo deficit di giustizia sociale che purtroppo
c’è in molte parti del mondo, e augurarci che il 2014 sia l’anno dei diritti umani…
R.
– Assolutamente sì! Io credo che anche questo faccia parte di quella politica del
doppio standard per cui siamo estremamente sensibili nei confronti di alcune tragedie
ed estremamente insensibili nei confronti di altre. Per il 2014, il mio personalissimo
augurio, è che si raggiunga un livello minimo, decente di garanzie per tutti a dispetto
del colore politico, e ovviamente del colore della pelle e del credo religioso.