Parrocchie, carceri, case di riposo: il pranzo di Natale di Sant'Egidio con i più
poveri
Sono trascorsi 31 anni dal primo pranzo di Natale per i poveri organizzato dalla Comunità
di Sant’Egidio. Era il 1982, e la tavola della festa era stata allestita nella Basilica
di Santa Maria in Trastevere. Oggi, la Comunità è presente in oltre 70 Paesi e in
ciascuno di questi le persone indigenti – senzatetto, carcerati, bambini soli, zingari,
anziani, ma anche i cosiddetti "nuovi poveri" – troveranno un abbraccio e una mensa
pronta ad accoglierli. Francesca Sabatinelli ha intervistato Augusto D’Angelo,
della Comunità di Sant’Egidio:
R. - Il Natale
quest’anno arriva in un periodo di crisi profonda ed è importantissimo far sì che
le persone che hanno incontrato delle difficoltà trovino intorno una rete di solidarietà
di amicizia, di accoglienza, che faccia sentire la vicinanza di una famiglia: la famiglia
cristiana. È un momento in cui molti anziani, molte persone che hanno perso il lavoro,
molti divorziati, si ritrovano a vivere in solitudine un giorno che per tutti è un
giorno felice. Da noi trovano l’accoglienza, l’amicizia e il calore di una famiglia
umana.
D. - Da voi, qui a Roma, nelle città italiane e da voi in tutto il mondo,
senza distinzione di religione, razza, età…
R. - Il pranzo di Natale è nato
a Roma, ma ha contagiato tanti Paesi nel mondo. La Comunità di Sant’Egidio è presente
in più di 70 Paesi, ovunque è presente la Comunità di Sant’Egidio c’è il pranzo di
Natale. Un pranzo che può esser destinato alle persone senza fissa dimora musulmane
in Pakistan, a quanti sono carcerati in luoghi di pena africani, dove spesso non arriva
il pranzo, oppure ai bambini in America Latina, agli anziani in Germania, nel nord
Europa, negli Stati Uniti. È un grande popolo che si raduna intorno alla mensa facendo
festa per la nascita di Gesù, al di là delle religioni, e che tendenzialmente accoglierà
più di 120 mila persone.
D. - Accanto a un aumento del numero di persone che
sono sempre più indigenti, si è assistito, però, al fenomeno dell’aumento dei volontari
che aiuteranno Sant’Egidio nella preparazione del pranzo…
R. – Quest’anno,
soprattutto negli ultimi mesi, abbiamo registrato un aumento dei gruppi di persone
che si occupano di coloro che sono più poveri, una crescita di quanti dedicano e decidono
di dedicare del tempo agli altri. A mio giudizio, è un grande segno di speranza in
un momento molto difficile. È frutto, sicuramente, anche della predicazione di Papa
Francesco e del fatto che in tanti hanno cominciato ad aprire gli occhi, a vedere
quante persone sono in difficoltà, e a decidere di abbandonare l’indifferenza, rimboccarsi
le maniche, e quindi di voler essere in questa storia insieme a Papa Francesco e a
tutti gli altri.
D. - Si parla di poveri, si parla di persone senza nessuno,
questo è l’identikit, se vogliamo, della stragrande maggioranza di persone che si
ritrovano in carcere, e Sant’Egidio è molto vicina a chi trascorrerà questo Natale
dietro le sbarre…
R. – Sì, spesso visitiamo le carceri, si creano dei legami
di vicinanza, ci si ricorda di loro nella preghiera e soprattutto si aspetta che escano
di prigione. E in questo periodo di Natale le visite sono più frequenti, in molti
casi sono stati organizzati dei pranzi e si continuerà a organizzarli anche nei prossimi
giorni. Ce n’è appena stato uno ad Avezzano, ce ne saranno alcuni il 26 a Roma, a
Regina Coeli e a Rebibbia e in altre carceri italiane. È un momento particolare per
far sentire a chi è solo, e dietro le sbarre, che non ci si dimentica di loro, che
restano nel nostro cuore e che assieme a loro aspettiamo tempi migliori.