Sud Sudan: sanguinosi scontri tra esercito e ribelli. Oltre mille morti negli ultimi
giorni
In Sud Sudan è guerra civile a tutti gli effetti. Nelle ultime ore la situazione è
precipitata al punto tale che addirittura l’Onu ha affermato di aver perso i contatti
con la base di Akobo. Al centro delle violenze anche la popolazione civile. Il
servizio di Giulio Albanese: Alcune persone
sarebbero state prese in ostaggio da miliziani di etnia nuer, fedeli all’ex vice presidente
Riek Machar. Si temono vittime, ma la notizia non è stata ancora confermata né si
hanno numeri. Probabilmente, l’obiettivo dell’attacco potrebbero essere proprio i
civili che hanno cercato rifugio nella base di Akobo, tutta gente di etnia denka,
la stessa alla quale appartiene il presidente Salva Kiir. Intanto, la città di
Bor, a nord di Juba, è nelle mani dei seguaci di Machar, che ha definito un dittatore
il suo rivale Salva Kiir, affermando che con lui potrà soltanto trattare le condizioni
di una sua abdicazione. E ha poi sollecitato tutto l’Esercito per la liberazione popolare
del Sudan (Spla) a ribellarsi per destituirlo.
A spiegare qual'è attualmente
la situazione è fra Antonio Ferreira, missionario comboniano che opera nella
regione dal 2010.
R. - This population
has come out not... Questa popolazione è uscita da una guerra non da molti anni
e nella sua mente, nel profondo della sua mente, è un ricordo molto fresco questa
situazione di fuga dalle armi, dagli spari. E quando qui tutto questo è cominciato,
la reazione è stata esattamente quella del sopravvivere. Molte persone stanno vivendo
tutto questo in maniera molto forte. Non si può dire quale sia il sentimento. Il sentimento
è davvero quello della fuga dalle armi, dai luoghi in cui avvengono gli spari; si
cerca di non essere colpiti lì in mezzo. Alcuni stanno già lasciando la città. Quando
nel pomeriggio la situazione è più calma, la gente comincia ad uscire dalla città.
Ogni giorno, ora vedo che le persone prendono autobus, camion e ogni mezzo e si dirigono
verso i loro villaggi, fuori della città.
D. - C’è mancanza di cibo o di altri
beni essenziali a causa dei combattimenti?
R. - Up to now no... Non finora,
perché il mercato ha funzionato. Quello che sta succedendo è che molti stanno chiudendo.
Hanno cominciato a chiudere per paura. Vogliono scappare. In molti quindi hanno già
chiuso i negozi e sono andati via. E questo è ciò che provoca la scarsità del cibo
e dei beni che erano disponibili.
D. - Abbiamo appena sentito che l’Uganda
si è offerta come mediatrice in questo conflitto. Pensa che questo possa dare un barlume
di speranza?
R. - I think all the... Penso che tutte le possibilità di mediazione
siano buone. Se l’Uganda potesse essere d’aiuto, penso sarebbe una benedizione. Non
ne abbiamo sentito parlare, forse si tratta di una notizia fresca. Noi sapevamo che
i vescovi di diverse denominazioni cristiane si erano offerti come mediatori tra i
due gruppi adesso in conflitto.
D. - Le persone presenti lì e la Chiesa stanno
cercando di mediare, perché hanno paura che i combattimenti potrebbero avvenire tra
le varie etnie, tra i Dinka e i Nuer...
R. - I think what is going on… Penso
che quello che sta succedendo sia proprio questo. Non si sta affrontando la questione.
Quello che è uscito da questo messaggio, inviato dai vescovi delle diverse denominazioni
cristiane, è stato proprio questo: che se affrontiamo la questione solo come conflitto
tribale, sarà un disastro, com’è sempre stato. Le tribù sono sempre state la causa
delle divisioni tra i diversi gruppi in Sud Sudan.