2013-12-19 16:22:49

Betlemme: si accendono le luci di Natale e quelle della speranza, grazie anche ai Salesiani


A Betlemme, i preparativi per il Natale sono iniziati già da diversi giorni, in anticipo rispetto agli altri anni. Questo per dare una speranza in più alla comunità palestinese, cristiani e anche musulmani, che ormai vive strozzata dal muro innalzato dagli israeliani per questioni di sicurezza, una chiusura che ricade soprattutto sui giovani. A occuparsi dei ragazzi di Betlemme, da sempre ci sono i Salesiani che con la scuola tecnica, il centro professionale artistico e l'oratorio sostengono la gioventù palestinese, senza distinzione di religione. Francesca Sabatinelli ha intervistato don Mario Murru, originario della Sardegna, dal 1990 in Terra Santa e oggi direttore della comunità salesiana di Betlemme:RealAudioMP3

D. - Quest’anno le luci che hanno preparato per alcune delle principali strade di Betlemme, più le luci dell’albero di Natale nella piazza della Natività, sono state accese molto tempo prima degli altri anni. Hanno voluto in questo modo far capire alla popolazione che il Natale sta aumentando la forza di dare più pace, di dare più speranza, di dare più gioia, perché la gente ha bisogno di questo e non deve continuare a vivere sempre nell’incertezza oppure nell’odio. Anche le autorità, quindi, in questo modo, hanno cercato di aiutare la gente a partecipare il più possibile alle festività del Natale. Le autorità pensano un po’ a tutti: cristiani e musulmani, che sono presenti in questa città. E’ un fatto che il Natale sia atteso da tutti, soprattutto i cristiani, ed è atteso perché si attende quello che è il vero dono: il dono della pace, della gioia, della fraternità di cui hanno veramente bisogno. Hanno bisogno di sentirsi sorretti da tutti i pellegrini cristiani che arrivano a Betlemme, e stanno arrivando a centinaia, in questi giorni. Credo che sia un buon auspicio quello di aver voluto iniziare ad accendere queste luci e questo albero di Natale, proprio perché soprattutto gli abitanti di Betlemme possano essere riempiti da una maggiore pace, che la gente di questa città, soprattutto, sta aspettando e che vuole vivere in pienezza.

D. – L’oratorio è importantissimo per questi ragazzi. La scuola lo è sicuramente per preparare il loro futuro e l’oratorio per cercare di dar loro anche una risposta nell’immediato. Un luogo di raduno, di riunione, di comunione. Altrimenti, questi ragazzi oggi che realtà vivrebbero?

R. – Altrimenti, non saprebbero dove andare, dove radunarsi, che attività fare e starebbero per le strade. L’oratorio è il centro per far sì che questi giovani possano trovare giochi, divertimento, ma anche modi di incontrarsi attraverso l’associazionismo o attraverso le attività degli scout. Non è facile, anche perché non erano abituati a radunarsi. Certo, questi ragazzi, fuori Betlemme e anche a Betlemme, non è che trovino altri svaghi o possano andare a Gerusalemme, perché è tutto chiuso e neanche in altre città, come magari qualcuno può pensare. L’oratorio, quindi, è sempre un centro di attrazione, di aggregazione. I ragazzi starebbero sempre qui.

D. – Voi avete contatti anche con le famiglie?

R. – Le famiglie sono in difficoltà. Non è facile la vita qui a Betlemme e nei dintorni di Betlemme. In preparazione al Natale si stanno portando avanti alcune attività per cercare di aiutare la gente a vivere un po’ più nella tranquillità, nella speranza. Certo, la gente sta ancora soffrendo. Stiamo cercando di portare avanti la nostra parte, che è quella dell’educazione, il meglio che possiamo. Le famiglie dei giovani musulmani mandano i loro figli alla nostra scuola, proprio perché ricevono un’educazione che da’ loro la possibilità poi di inserirsi nel mondo del lavoro e una preparazione alla vita.

D. – Sarà molto difficile anche per voi ritrovarsi all’interno di equilibri così precari ed esserne anche parte attiva...

R. – Una grossa difficoltà è certamente quella economica, anche perché la nostra scuola accetta ragazzi e giovani che sono di un livello socioeconomico medio basso e una buona percentuale di quelli che sono veramente poveri. La situazione economica è grave per la scuola. Inoltre, tutto quello che succede in Palestina, soprattutto nel Governatorato di Betlemme e di Hebron, intendo la situazione politica, si ripercuote fortemente anche sulla scuola. Io sono più ottimista di qualcun altro e spero che arrivino alla pace, ma c’è ancora molto lavoro da fare. Ci sono troppe ingiustizie che devono essere risolte, perché si possa arrivare veramente alla pace, alla giustizia e alla tranquillità.

Luigi Bisceglie è rappresentante del Vis in Palestina, organizzazione non governativa che sostiene la Congregazione salesiana nelle sue attività educative. Da due anni, Bisceglie vive a Betlemme, dove Francesca Sabatinelli lo ha incontrato:RealAudioMP3

R. - È molto difficile trovare lavoro, però è altrettanto vero che i ragazzi che fanno il corso di meccanica, e che sono specializzati anche nella riparazione delle macchine più nuove, riparazioni complicate, trovano tutti lavoro, perché questo era, per esempio, un tipo di lavoro che in Cisgiordania mancava. Inoltre, le aziende richiedono gli elettricisti che sono ben formati, mentre i ragazzi che fanno i corsi artistici aprono micro-imprese e riescono in qualche modo a produrre oggetti e a immetterli sul mercato. Anche grazie alla scuola e al centro artistico riescono ad esportare i loro prodotti, per esempio nelle parrocchie italiane.

D. – Questi ragazzi sono giovani di Betlemme o vengono anche da fuori?

R. – Sono soprattutto del distretto di Betlemme e del distretto di Hebron, ma questo anche per questioni di mobilità: è difficile raggiungere Betlemme da Ramallah, o da città che sono più a nord perché spesso ci sono “checkpoint volanti”, o perché spesso è difficile trovare un trasporto. Però, molti studenti vengono da tutto il bacino di Betlemme, da villaggi limitrofi, da Hebron dove c’è un distretto industriale e alcuni ragazzi, per esempio, trovano lavoro proprio lì. La cosa interessante, soprattutto per quanto riguarda il centro artistico, è che sin dall’inizio ha accolto anche studenti non più giovanissimi, ad esempio prigionieri politici, che sono stati incarcerati per diversi anni, che però avevano voglia di tornare ad una vita normale. Quindi, imparare un nuovo lavoro ha permesso loro di tornare alla normalità. È fondamentale per la Congregazione salesiana continuare ad avere il sostegno e il supporto di donatori e partner, che in questo modo permettono loro di andare avanti con questa importante attività educativa. Però, si fa sempre più fatica a fare raccolta fondi.

D. – I Salesiani hanno aperto ai cristiani e ai musulmani, e oggi, per ragioni di esodo, sempre più ai musulmani…

R. – Sì, è vero questo è un dato interessante: il 70% degli studenti è musulmano, i ragazzi però convivono perfettamente con i loro colleghi cristiani. Anzi, molto spesso i ragazzi musulmani sono contenti di frequentare le scuole cristiane, non solo la nostra, perché sanno che sono di ottima qualità. Anche i genitori sono contenti di mandare i loro figli nelle scuole cristiane.

D. – Betlemme soffre una gravissima crisi lavorativa, c’è un tasso altissimo di disoccupazione e difficoltà crescenti dovute anche alla politica di chiusura che la città sta vivendo. Tu che sei qui da due anni cosa hai visto?

R. – Sicuramente, dal 2010 ad oggi la situazione è migliorata un po’. Tutti ci ricordiamo cosa è successo durante la Seconda intifada, quindi sicuramente per la Cisgiordania e Betlemme gli anni più bui sono stati quelli. Dal 2010, quantomeno, si è tornati a potersi muovere liberamente all’interno del distretto di Betlemme, come del resto è stato possibile per i turisti e i pellegrini tornare qui. Questo ha cambiato le cose in positivo, perché la città si è riaperta al mondo, l’accoglienza per Betlemme rimane comunque la cosa più importante. Però, il fatto che a livello materiale la vita sia migliorata non significa che le condizioni di vita in generale siano migliorate perché la mobilità è un problema reale. Il fatto che ci sia un muro fa sì che, soprattutto i giovani, facciano fatica a spostarsi e a trovare opportunità di lavoro, per esempio in Israele, cosa che qualche anno fa accadeva. Ecco quindi che studenti molto preparati, che magari oltre a laurearsi riescono anche a ottenere un master qui, poi però sono disoccupati, alcuni di loro decidono di espatriare per qualche anno e di solito fanno fortuna. I palestinesi nel mondo sono apprezzati e riescono sempre a integrarsi, però tutti hanno un legame fortissimo con la terra e vogliono tornare, ma le prospettive sono tutt’altro che rosee. Sullo sfondo rimane il conflitto che è vero che ormai non fa più notizia – viste tutte le cose che stanno succedendo in Medio Oriente – però è altrettanto vero che non c’è ancora una soluzione a portata di mano. Questo poi si ripercuote sulla vita delle persone.

D. – Quindi, si ripercuote anche sullo stato d’animo…

R. – In realtà, c’è un po’ di frustrazione legata al fatto che non si sa bene quale sarà il futuro: non puoi fare programmi a lungo termine. Quindi, credo che la frustrazione nasca da questo, soprattutto per i giovani che sono nati con un conflitto che era già in corso e che quindi non hanno mai visto un’altra situazione.







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