Canonizzazione Favre. P. Spadaro: la sua apertura mentale e spirituale è la stessa
di Bergoglio
Dialogo, discernimento, frontiera. Le tre parole chiave di San Pietro Favre richiamano
immediatamente l’azione pastorale di Papa Francesco. Una sintonia che viene sottolineata
dal direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, che proprio
in occasione della canonizzazione ha pubblicato, per i tipi della casa editrice “Ancora”,
il volume “Pietro Favre. Servitore della consolazione”. Alessandro Gisotti
ha chiesto a padre Spadaro quanto sia importante per i Gesuiti la canonizzazione del
primo compagno di Ignazio di Loyola:
R. – Ha un significato
molto forte, perché tutti conoscono San Francesco Saverio, il secondo compagno di
Sant’Ignazio di Loyola. Ma Pietro Favre fu il primo, il primo compagno che condivise
con Sant’Ignazio la stanza in cui studiava all’Università di Parigi, è stato il primo
ad accostarsi a lui, il primo a fare gli Esercizi spirituali… Direi che senza Pietro
Favre la Compagnia di Gesù non esisterebbe. Quindi, è un momento molto particolare
e veramente importante per noi.
D. – Pietro Favre, appunto, è il primo compagno
di Ignazio di Loyola eppure – è un fatto, questo – è rimasto nell’ombra per tanto
tempo. Quali sono i motivi?
R. – Forse nel tempo, specialmente durante la seconda
metà del XVI secolo, la sua fama è rimasta un po’ vittima di una sorta di diffidenza
verso la dimensione mistica che persino nella Compagnia di Gesù si è fatta strada
in favore di un atteggiamento più ascetico che mistico. Invece, Pietro Favre è una
figura mistica, se vogliamo anche difficile da comprendere bene: è un po’ complessa.
Tuttavia, la devozione non si è mai persa nel corso del tempo. Lo stesso Sant’Ignazio,
in realtà, più che celebrare suffragi per lui, fece celebrare Messe di gioia, di trionfo,
e addirittura San Francesco Saverio, appena Pietro Favre morì, aggiunse il suo nome
alle Litanie dei Santi.
D. – A canonizzare il primo compagno di Sant’Ignazio
è il primo Papa gesuita: perché la figura di Favre è così amata da Jorge Mario Bergoglio?
R.
– Perché al Papa piace Favre? Lui mi ha risposto sostanzialmente con una lista di
ragioni: il dialogo con tutti, anche i più lontani, gli avversari. La sua pietà semplice,
direi popolare, una certa ingenuità – il Papa stesso si è definito un po’ ingenuo,
un po’ furbo – la sua disponibilità immediata. Ma poi due cose che ritengo veramente
fondamentali: il suo atteggiamento di discernimento interiore e il fatto di essere
un uomo di grandi e forti decisioni, pur essendo una persona molto, molto dolce.
D.
– Cosa ritroviamo di Favre, invece, proprio nell’azione pastorale di Papa Francesco?
R.
– Troviamo tanto: nel tratto umano, nella spiritualità Favre era un uomo molto aperto
all’esperienza e alla vita. Soprattutto, era un uomo privo di barriere mentali, di
preclusioni. Amante della riforma della Chiesa, sapeva che c’era bisogno di tanto
tempo e fondava il suo desiderio di riforma nell’amicizia. Un giorno, per esempio,
ha sentito interiormente di dover pregare insieme per il Papa, per Lutero, per Enrico
VIII e per Solimano II. Favre, del resto, ha vissuto in un clima fluido e burrascoso
nella prima metà del Cinquecento parigino ed è portatore di una sensibilità moderna
che oggi vibra in consonanza con la nostra. Quindi, incarnò un’apertura mentale e
spirituale nei confronti delle sfide della sua epoca, che ci ricorda molto lo slancio
missionario di Papa Francesco.
D. – Il titolo del suo libro su Favre è “Servitore
della Consolazione”. In qualche modo, si potrebbe anche accostare questa definizione
proprio a Papa Francesco: servitore della consolazione, della misericordia …
R.
– Penso di sì. In fondo, Papa Francesco ama Favre anche proprio per la sua capacità
di discernimento, cioè la sua capacità di comprendere la vita spirituale e di capire
come Dio agisce dentro di noi. La consolazione è la percezione sensibile interiore
dell’unione con Dio. La mistica di Pietro Favre ha a che fare con la vita di tutti
i giorni, con la vita quotidiana: Favre ha sempre vissuto una familiarità con Dio
immediata, diretta e per Favre, come per Papa Francesco, vale ciò che ha scritto Sant’Ignazio,
cioè che Dio si comunica a ognuno di noi con mozioni interiori: cioè, muove e attira
la volontà. Quindi, direi che l’esperienza di Favre va meglio compresa e studiata
anche per capire lo stile e il modo di governo di Papa Francesco.