Bambini in carcere con le madri, c'è la riforma ma non le strutture
Fra poco più di 15 giorni entrerà in vigore in Italia la legge che dovrebbe chiudere
le porte del carcere ai bambini, ma le strutture che dovranno ospitare le donne con
i loro figli non sono sufficienti. Le associazioni che si occupano della tutela dei
più piccoli lanciano un appello per attivare nuove strutture. Il servizio di Filippo
Passantino:
Basta bambini
in carcere. La legge 62/2011, in vigore dal primo gennaio, consente alle madri di
scontare la pena con i loro figli in istituti a custodia attenuata, luoghi senza sbarre
simili ad asili nido, e non più in carcere. Le strutture esistenti, però, sono solo
due, una a Milano e una a Venezia. E i posti a disposizione non bastano ad accogliere
i circa 60 bambini al di sotto dei tre anni che sono entrati in carcere con le mamme.
L'obiettivo della legge, a 15 giorni dall’entrata in vigore, rischia così di rimanere
incompiuto. E anche oggi l’argomento non è stato affrontato dal Consiglio dei Ministri.
La nuova normativa consente inoltre alle madri di tenere il bambino con sé finché
non compia sei anni, e non più tre. Così, alcune associazioni che si occupano della
tutela dei figli di donne in carcere sollevano il problema. E il presidente di "Bambinisenzasbarre",
Lia Sacerdote, chiede la ripresa del dibattito parlamentare:
“Assolutamente,
non abbiamo alzato l’età dei bambini che sono in carcere. Finora, i bambini restano
fino a tre anni e questa legge fa pensare che possano stare fino a sei anni. Effettivamente,
però, non è così”.
Per madri e figli, si potrebbero aprire le porte di
un’altra tipologia di strutture, affidate ai servizi sociali e agli enti locali: le
case famiglia protette. In Italia, però, non ce n’è neppure una perché troppo costose.
Ancora Lia Sacerdote:
R. - La cosa fondamentale è che questa legge prevede
le case famiglia protette che, secondo noi, dovrebbero rappresentare la soluzione
migliore. La legge, però, dice che non deve esserci un onere per lo Stato e queste
case famiglia sono a carico degli enti locali, e gli enti locali devono avere delle
risorse. Si tratta, quindi, di fare delle convenzioni per permettere a queste case
famiglia di essere sostenute finanziariamente.
D. – Convenzioni tra chi?
R.
– Tra l’ente locale, il Comune ed eventualmente l’organizzazione, che ha la disponibilità
di ospitare in case famiglia protette.