Immigrazione: in Italia c'è più attenzione da parte dei media
C’è una maggiore sensibilità dei mezzi di comunicazione rispetto al tema dell’immigrazione.
Così l’osservatorio dell’associazione Carta di Roma nel primo Rapporto annuale tra
media e immigrazione in Italia, dal titolo “Notizie fuori dal ghetto”, presentato
stamattina a Montecitorio. Ascoltiamo Giovanni Maria Bellu, presidente dell’associazione
Carta di Roma, al microfono di Antonella Pilìa:
R. – C’è ancora
molta strada da fare, ma sicuramente c’è una maggiore sensibilità della stampa e una
maggiore attenzione a rispettare la verità sostanziale dei fatti, non perpetuando
quindi dei cliché e dei pregiudizi, anche se via via – e sta succedendo – saranno
semplicemente gli stessi immigrati a diventare dei giornalisti, entrare nei giornali
e raccontarsi. Ecco, noi accompagniamo questo percorso.
D. – Dal Rapporto
emerge che le seconde generazioni di immigrati si ritagliano un ruolo da protagonisti
nelle cronache italiane…
R. - Questo aspetto è uno tra i più significativi,
perché da questo report emerge che rispetto alle seconde generazioni si esce
dai cliché dei pregiudizi. Probabilmente una delle spiegazioni è che queste seconde
generazioni ci appaiono mene estranee perché si tratta, molto spesso, dei compagni
di scuola dei nostri figli. Quindi questo dimostra che la conoscenza diretta, il rapporto
e la relazione portano al cambiamento.
D. – In particolare emerge che i figli
di immigrati rivendicano i propri diritti. Quanto influisce, in questo caso, il dibattito
politico sullo ius soli?
R. – Credo che sia stato sicuramente di grande
aiuto, perché nasce attraverso anche la divulgazione della sorpresa e dello sconcerto
rispetto a certe situazioni che erano semplicemente sconosciute ai più. Cioè, l’italiano
medio non sapeva che quel ragazzo che parla con accento romano o milanese e che tifa
la squadra locale non fosse un cittadino italiano, nonostante apparisse come tale.
Questo ha creato, secondo me, la sorpresa e lo scandalo del dibattito dello ius
sol e ha aiutato a diffondere anche una percezione diversa del problema.
D.
– Qual è invece l’immagine della donna migrante?
R. – Quando si parla delle
donne immigrate e, in particolare, del femminicidio che ha visto coinvolte delle donne
immigrate, abbiamo la sopravvivenza degli schematismi: si tende ad attribuire il femminicidio
della donna immigrata all’ambiente culturale di provenienza; mentre quando questi
casi riguardano donne italiane si parla molto di più delle relazioni familiari. Quindi
nello stesso sistema di informazione ci sono atteggiamenti diversi.
D. – Perché,
secondo lei, le donne migranti oggi rimangono ancorate al ruolo di vittime e non escono
dal ghetto mediatico, a differenza delle seconde generazioni?
R. – Questo atteggiamento
nei confronti delle donne appartiene a un modo generale di fare giornalismo e a una
visione della donna come la figura debole, emotiva, che serve a creare commozione.
Nel Rapporto si fa notare che quando c’è uno sbarco, i caporedattori dei telegiornali
indicano ai giornalisti e agli operatori che serve l’immagine di una donna con un
bambino… Quindi stiamo parlando di atteggiamenti generali del giornalismo che incrociano
le questioni dell’immigrazione e svelano i problemi del giornalismo stesso. Come quando
un organismo debole entra in un ambiente malsano: in questo caso l’organismo debole
è quello dell’immigrazione, che entra nell’ambiente, non malsano ma certo complesso,
dell’informazione generale.