Accertati casi di uso di armi chimiche in Siria mentre resta alta l’emergenza bambini
Il rapporto finale delle Nazioni Unite sulle armi chimiche in Siria afferma che ci
sono probabili prove dell'utilizzo dei gas in 5 dei 7 casi analizzati dagli esperti
Onu. Il rapporto cita "prove o informazioni credibili" relative agli attacchi di Al
Ghouta, Khan al Assal, Jobar, Saraqueb e Ashrafieh Sahnaya. Mentre non è stato possibile
raccogliere prove credibili a Bahhariyeh e Cheikh Maqsoud. Intanto, si moltiplica
il numero di bambini che pagano l’alto prezzo del conflitto siriano dentro i confini
del Paese o nei campi profughi di Paesi limitrofi. Fausta Speranza ha intervistato
Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia:
R. – Davvero,
assistiamo ad un dramma che non ha proporzioni, forse il peggiore degli ultimi decenni.
I bambini siriani soffrono una guerra che dura ormai da tre anni, e in questo momento
le condizioni climatiche – peraltro – violano anche molti dei loro diritti normali
ad un’esistenza serena, visto che sotto le tende si trovano al freddo e al gelo in
condizioni davvero difficili. Ci sono un milione e mezzo di bambini profughi dei quasi
tre milioni di profughi in fuga dalla Siria nei Paesi limitrofi. I dati sui bambini
morti purtroppo non sono confortanti: si parla di oltre 6 mila bimbi morti. Quindi,
direi che la situazione non è migliorata, anzi. Forse, nella disattenzione generale,
il quadro è peggiorato.
D. – Tra tante emergenze, se guardiamo all’interno
della Siria, che cosa dire dei bisogni più urgenti dei bambini?
R. – Il bisogno
più urgente è, indubbiamente, il bisogno di medicinali per far fronte alle malattie
che naturalmente si stanno via via sviluppando. Non dimentichiamo che l’Unicef ha
vaccinato oltre un milione e mezzo di bambini contro il morbillo, ha aperto nel mese
di novembre una grandissima campagna proprio all’interno della Siria e in molti Paesi
del Medio Oriente, ma in particolar modo nella Siria, per vaccinarli contro la polio;
ma oltre ai medicinali c’è bisogno di soccorso dal punto di vista igienico e sanitario,
che sono le priorità. Oltre a quello, naturalmente, di riportarli a scuola perché
è vero che ci sono oltre duemila scuole distrutte, ma è altrettanto vero che questi
bambini, laddove sia possibile, devono essere riportati alla normalità. Per questo,
stiamo cercando – attraverso spazi sia ricreativi sia scolastici – di riportarli a
studiare.
D. – Parliamo invece dei campi profughi, dove lei è stato più volte,
anche in questi giorni …
R. – Sì, la situazione nei campi profughi è davvero
una situazione difficile. Il campo profughi di Zaatari, che ormai è il quinto campo
profughi, è diventato quasi una città: è la quinta città più grande della Giordania
ed è il secondo campo profughi più grande del mondo. E' arrivato ad ospitare oltre
300 mila persone; i bambini, in questi campi, vivono tra i sassi, nel fango, nelle
tende o – purtroppo, in certe situazioni – in tende di fortuna e nei container. Si
vedono arrivare questi fiumi di persone, e continuano ad arrivare, anche in questo
momento, quando sta nevicando: lo voglio ricordare. In questo momento, infatti, dalla
Giordania e dal Libano arrivano moltissime immagini di tende completamente coperte
dalla neve e battute dalle tempeste. Ecco: in queste situazioni le famiglie arrivano
con delle cariole nelle quali portano i loro vestiti, i loro averi – pochissimi! –
e con le quali hanno attraversato il confine. Le condizioni nei campi, per questo,
sono indubbiamente difficili; immaginate come possano essere d’inverno, aggravate
inoltre dalla condizione delle fognature, di letame diffuso, di condutture d’acqua
che funzionano ma che naturalmente non bastano per tutti … Ecco, questo è il quadro
della situazione nei campi profughi. Tanto in Giordania quanto in Iraq ho potuto riscontrare
indubbiamente un grandissimo impegno delle organizzazioni internazionali: in particolar
modo, noi siamo impegnati nella fornitura di programmi per l’acqua, con moltissime
cisterne, e di programmi per riaccompagnare i bambini a scuola, e per accompagnare
bambini che abbiano subito gravissime violazioni. Ed è per questo che li assistiamo
anche dal punto di vista psicologico in spazi che abbiamo creato ad hoc all’interno
dei campi, dove questi bimbi si possono recare sia per parlare con i nostri operatori,
sia per ricercare una normalità che - lo si vede dai loro disegni, lo si vede dalla
loro attività quotidiana - hanno un po’ perduto. Quindi: c’è molto da fare, anche
se – quando si parla con loro – l’unica cosa che ci sentiamo dire, tra un sorriso
e l’altro, è sempre quella: “… quando torneremo a casa …”. C’è veramente esigenza
di pace, che la guerra finisca presto …