2013-12-13 15:58:13

A Vilnius, l’evento conclusivo dell’Anno europeo dei cittadini 2013


In corso a Vilnius, l’evento conclusivo dell’Anno europeo dei cittadini 2013. Due giorni di confronti, dibattiti, tavole rotonde, cui prendono parte circa 350 delegati provenienti dai 28 Paesi europei. Tra loro rappresentanti delle autorità nazionali, delle associazioni giovanili e di Ong del Vecchio Continente. Tra i temi affrontati: il ruolo e il futuro delle organizzazioni della società civile nella costruzione dell’Europa, la promozione dei diritti dei cittadini e le future elezioni europee. Salvatore Sabatino ha raggiunto, telefonicamente a Vilnius, Alessandro Giordani, capo settore comunicazione e reti d’informazione della Rappresentanza della Commissione Europea in Italia:RealAudioMP3

R. - È un evento che ha, come primo scopo, quello di spiegare che l’Anno dei cittadini non finisce qui. C’è una grande domanda da parte delle organizzazioni della società civile proprio per chiedere non che non finisca qui. C'è un input che è stato dato da queste associazioni durante tutto quest’anno, con delle proposte anche molto concrete che sono state date qui nella sede del Parlamento lituano in mano alla vicepresidente Reding. Speriamo possano essere tenute in conto in maniera concreta nelle future comunicazioni che la Commissione farà sul futuro dell’Unione.

D. - Cosa lascerà in eredità quest’anno dedicato ai cittadini europei? Una maggiore sensibilità ad esempio nei confronti di un’appartenenza europea?

R. - Io credo che lascerà un’eredità abbastanza forte non solo di contenuto, perché comunque abbiamo ricevuto delle risposte e delle proposte molto articolate e anche inaspettate per certi aspetti da parte della società civile, ma lascerà un segno soprattutto per il metodo, perché è stato attraverso un metodo partecipativo – penso ai dialoghi coni cittadini, al coinvolgimento di varie articolazioni della società civile nel dibattito sul futuro dell’Unione - quindi non spiegare solamente cosa l’Europa ti può dare, ma anche come tu puoi contribuire a dare una forma e un colore alle politiche europee.

D. - Che tipo di Europa vogliamo noi cittadini?

R. – Dalle indicazioni che sono emerse abbiamo visto che è un’Europa più partecipativa. Evidentemente poi dipende anche dai Paesi in cui questi tipi di istanze emergono. I Paesi che hanno avuto maggiori difficoltà, quelli del Mediterraneo, ecc … sono più sensibili alla questione della dicotomia tra rigore e crescita ovviamente. Altri Paesi possono essere più attenti invece al discorso dei controlli del coordinamento delle politiche. Credo che in tutti quanti ci sia una grande richiesta di partecipazione dal basso e di poter influire nella definizione delle politiche europee fin dall’inizio, fin da quando vengono concepite, non solo quando si tratta poi di eseguire o di trasporre negli ordinamenti nazionali le direttive e i regolamenti, ma di poter essere dove la Commissione che ha il monopolio dell’iniziativa concepisce queste politiche.


I cittadini europei chiedono, dunque, una maggiore rappresentatività. Necessaria la partecipazione alle decisioni istituzionali, attraverso tavoli di confronto diretti tra la società civile ed i vertici europei. Salvatore Sabatino ha intervistato Federiga Bindi, titolare della cattedra "Jean Monnet" presso l'Università Tor Vergata di Roma:RealAudioMP3

R. - L’elemento centrale di quest’anno è che ci si è resi conto che un cambio di passo è necessario con l’Europa. Ora, che questo cambio effettivamente avvenga lo vedremo speriamo al Consiglio europeo di dicembre.

R. – C'è una difficoltà che deve gestire l’Unione Europea su una maggiore vicinanza rispetto alle popolazioni, che si sentono sempre un po’ distanti dalle istituzioni. Che cosa si può fare per creare un avvicinamento tra questi due attori?

D. – Ricreare un grande progetto: 30 anni fa c’era la prospettiva dell’atto unico, del mercato unico; 20 anni fa c’era il completamento del mercato unico; 10 anni fa l’allargamento e adesso non abbiamo una prospettiva. Quindi, c’è una crisi economica e quello che succede è che si incolpa l’Europa di colpe che non ha; al tempo stesso non si usa l’Europa in modo adeguato per risolvere il problema di oggi. Il problema di oggi è chiaramente una mancanza di crescita economica.

D. – E’ anche, ovviamente, una mancanza di lavoro: si è parlato tanto in questo anno della situazione dei giovani, per esempio, che hanno bisogno di essere ascoltati...

R. – I giovani più che di essere ascoltati hanno bisogno di opportunità. I giovani, ma anche i meno giovani: non ci dimentichiamo che c’è un problema drammatico di giovani bravi che non riescono ad entrare nel mercato del lavoro, ma c’è anche il problema drammatico dei cinquantenni che si trovano, loro malgrado, fuori dal mercato del lavoro e non sanno come rientrare. Quindi, è un problema di lavoro dei giovani a cui ovviamente interessa essere ascoltati ma soprattutto interessa avere opportunità. Quello che fino alla mia generazione era vero - ma che ha smesso subito dopo – ovvero, il principio in base al quale: “se lavori duro, ti laurei con un buon voto e fai dei lavoretti a parte, allora sei sicuro di avere un buon lavoro dopo”. Questo oggi non è più così.

D. – Secondo lei, visto che i cittadini europei stanno comunque costruendo un’identità europea, possono guardare al futuro con un sguardo positivo?

R. – Innanzitutto, non dimentichiamoci che il 2013 è l’anno in cui è entrata la Croazia nell’Unione Europea, che a differenza della Slovenia è un Paese dei Balcani che è stato direttamente implicato nella guerra. Secondo me, non è stata data adeguata importanza a questo fatto: che la Croazia sia entrata nell’Unione Europea è di enorme importanza. È veramente enorme. È anche l’anno in cui c’è stato un accordo tra la Serbia ed il Kosovo, che stiamo finendo di definire in alcuni aspetti proprio in questi giorni. Secondo me, gli indici politici che l’Unione Europea può continuare a prosperare ci sono; certo è, che se si continua a non dare importanza agli elementi positivi e dare importanza soltanto agli elementi negativi senza mettere in essere politiche di crescita – perché è quello di cui abbiamo bisogno; gli Stati Uniti hanno fatto politiche di crescita per uscire dalla crisi –non riusciremo a far ripartire le spese, il mercato del lavoro e tutto il resto. Quindi, finirà che a pagarne le conseguenze sarà proprio ciò che noi abbiamo conquistato di più prezioso, ovvero, l’unità europea.







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