10 anni fa la cattura di Saddam Hussein. L'Orp torna nella Terra di Abramo
Esattamente dieci anni fa Saddam Hussein veniva catturato nei pressi di Tikrit. La
notizia fece il giro del mondo aprendo la speranza ad un futuro di pace in Iraq,
ma ancora oggi instabilità e terrorismo continuano a funestare il nord e l’ovest del
paese. Più serena la situazione al sud dove in queste ore è stato accolto con grande
entusiasmo e speranza dalle autorità e dalla popolazione cristiana e musulmana il
primo pellegrinaggio dall’inizio della guerra, organizzato dall’Opera Romana Pellegrinaggi
e guidato da mons. Liberio Andreatta. Paolo Ondarza lo ha raggiunto
telefonicamente a Nassiriya:
R. - Ridona
molta speranza perché quando in un Paese c’è la guerra, non c’è la libertà ma c’è
la sofferenza. La prima cosa che fanno è chiudere le frontiere, quindi un Paese soffre
enormemente non solo della privazione della libertà e di una mancanza di speranza
nel futuro ma soffre anche di grandi difficoltà economiche. Quindi, questa apertura,
questo pellegrinaggio fa nascere una speranza nel cuore degli iracheni i quali immediatamente,
come reazione psicologica, dicono: “Allora la libertà è possibile! Allora possiamo
avere un futuro…”.
D. - Voi vi recate in quelli che sono i luoghi simbolo legati
alle Sacre Scritture…
R. - Esatto. Tutto è cominciato lì. Noi andiamo a ricominciare
da dove tutto è cominciato: questa è stata la culla delle civiltà, di tante civiltà
che si sono susseguite. Qui Dio ha chiamato Abramo e gli ha detto: “Lascia la tua
terra e va…”. Quindi, siamo tutti figli di Abramo, comune padre nella fede delle tre
grandi religioni monoteiste.
D. - I segni della devastazione, i segni della
guerra di questi ultimi anni sono visibili?
R. - A dire la verità, segni di
distruzione noi non li abbiamo visti. Abbiamo visto i segni della miseria, questo
sì. Segni di una situazione di disagio, segni di protezione e messa in sicurezza.
Segni di vera e propria distruzione al Sud non li abbiamo visti.
D. - Dieci
anni fa veniva catturato Saddam Hussein, da allora sappiamo che però la situazione
non è rientrata nella normalità per quanto riguarda la sicurezza; ancora c’è instabilità
nel Paese…
R. - Noi abbiamo fatto anche tante domande, perché arrivando abbiamo
visto che sul piano della sicurezza non ci sono problemi - si può attraversare la
città - ma i problemi di sicurezza sussistono soprattutto ancora al Nord. Quindi,
al Sud dell’Iraq - tutta la zona di Babilonia, la zona di Ur degli antichi sumeri,
tra il Tigri e l’Eufrate, nella zona proprio più antica - si può venire tranquillamente.
Quindi, un pellegrinaggio al Sud dell’Iraq è possibile ma è ancora probabilmente prematuro
- almeno da quello che ci dicono – recarsi a Ninive e nella parte del Nord dell’Iraq.
R. - Ritiene che la vostra presenza al Sud possa in qualche modo anche dare
un incoraggiamento a chi vive in quelle zone più travagliate del Paese?
D.
- Questo ce l’hanno detto e ripetuto continuamente non solo le autorità civili, non
solo le autorità religiose, ma anche la popolazione che abbiamo incontrato, soprattutto
la comunità cristiana. Noi ci proviamo; laddove non sono riuscite le “teste” della
diplomazia internazionale a normalizzare il Paese e portare la pace, ci provano il
cuore e le gambe dei pellegrini.
D. - Sarà di conforto per i tanti cristiani
che coraggiosamente sono rimasti nel Paese: ricordiamo la diaspora seguita alla guerra
in Iraq…
R. - Certamente, è una ferita molto grande. Questo abbandono e la
fuga sono una ferita che sentono profondamente soprattutto i parenti che anche oggi
ce lo dicevano. Chissà se con il ritorno alla normalizzazione dei pellegrinaggi, potranno
tornare anche i nostri figli, i nostri fratelli ed anche i nostri fratelli di fede.