Sinai: circa 30 mila le vittime della tratta di esseri umani tra 2009 e 2013
Tra venticinquemila e trentamila persone, negli ultimi cinque anni, sono state sequestrate
o hanno perso la vita nel Sinai egiziano. Fuggono soprattutto dall’Eritrea, ma restano
vittime di trafficanti che, solo grazie ai riscatti, hanno accumulato in questi anni
600 milioni di dollari. Sono i dati del rapporto “Human Trafficking Cycle: Sinai
and beyond”, curato da ricercatori eritrei e olandesi e presentato ieri alla Camera
dei Deputati con la partecipazione dell’agenzia Habeshia. Per noi c’era Davide
Maggiore:
Uomini, donne
e bambini sono trattati come merce, rinchiusi in veri e propri “magazzini” e poi in
sale di tortura dove subiscono violenze di ogni genere, spesso comunicate ai familiari
per affrettare il pagamento del riscatto. E le estorsioni a volte continuano anche
quando le vittime non sono più in vita. Lo spiega Meron Estefanos, giornalista
eritrea, residente in Svezia, tra le autrici del rapporto:
"When somebody
dies, the hostages are told not to tell anybody - their families or anyone - … Quando
qualcuno muore, le istruzioni agli altri ostaggi sono di non dirlo a nessuno – né
alla famiglia né a nessun altro – affinché possano continuare ad estorcere denaro,
a meno che la famiglia non senta più la voce: allora questo significa che la persona
è morta. Ma loro chiedono il pagamento anticipato per farti parlare con tuo figlio,
per farti sentire la sua voce. Quindi, non sai nulla; pensi: potrebbe essere morto,
ma devo pagare comunque …".
Ma la tratta non si ferma una volta che i migranti
sono arrivati in Occidente: qui, infatti, se vogliono continuare il viaggio, rischiano
di finire nelle mani di altri criminali. Ascoltiamo Meron Estefanos:
"I
was just interviewing a 12 year old child, who survived the Lampedusa tragedy … Ho
appena intervistato un ragazzino di 12 anni, sopravvissuto alla tragedia di Lampedusa:
per arrivare da Agrigento a Milano ha dovuto pagare un contrabbandiere, e questo è
normale. Non dovrebbe essere così, ma loro non lo sanno. Ci sono
contrabbandieri che dicono: “Ah, vuoi andare a Milano? Devi pagare tanto …”. E così,
quel ragazzino ha dovuto chiedere alla famiglia di mandargli il denaro per andare
a Milano; una volta lì, ha contattato altri trafficanti per farlo arrivare in Svezia
in cambio di 1200 euro. Quindi ha contattato di nuovo la famiglia. Invece, lo hanno
portato a 20 km da Milano, l’hanno lasciato solo e gli hanno detto: 'Questa è la Svezia'".
E
anche coloro che raggiungono l’Europa e Israele senza diventare di nuovo vittime dei
trafficanti, trovano spesso condizioni molto diverse da quelle attese. Lo spiega don
Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia:
“Una volta arrivati
in Israele, purtroppo, spesso devono affrontare altre detenzioni, perché la legislazione
non li riconosce come rifugiati, per cui sono tenuti in questi centri di detenzione
senza alcuna prospettiva per il futuro. Anche in Europa, una volta arrivati, se noi
prendiamo il caso dell’Italia, abbiamo migliaia di rifugiati o persone che hanno avuto
una protezione sussidiaria umanitaria che sono totalmente abbandonati a sé stessi”.
Per
fermare questo traffico, sostiene don Mussie Zerai, è importante agire sulle cause
che spingono i migranti a fuggire dai Paesi d’origine, ma anche gli Stati africani
di transito hanno strumenti per intervenire:
“Le legislazioni per combattere
il traffico di esseri umani ci sono già, solo che non vengono applicate, per il semplice
motivo che c’è la corruzione. I testimoni ci raccontano degli stessi poliziotti sudanesi
che li vendono ai trafficanti. E lo stesso se andiamo in Libia: nei vari centri di
detenzione queste persone sono costrette a pagare i miliziani o chi è di guardia per
uscire dai centri. Quindi la comunità internazionale prima di tutto deve spingere
questi Stati ad applicare le leggi già esistenti per combattere il traffico di esseri
umani e cercare anche di aprire dei canali umanitari protetti per queste persone che
sono costrette a fuggire”.
Infine, c’è il ruolo dell’Europa, su cui si
sofferma un’altra delle autrici del rapporto, la professoressa Mirjam Van Reisen,
dell’Università di Tilburg:
"It is very important that Europe, in its externalisation
of its migration policy,… E’ molto importante che l’Europa garantisca, nell’adozione
della sua politica per le migrazioni, che questa fornisca elementi per la protezione
delle persone. L’altra cosa che l’Europa deve fare è garantire che le persone che
sono veramente richiedenti asilo abbiano accesso all’asilo e che non si crei un circolo
vizioso dato dal Regolamento di Dublino, in funzione del quale la gente viene mandata
da uno all’altro dei Paesi membri dell’Unione Europea".