2013-12-12 14:51:41

Sinai: circa 30 mila le vittime della tratta di esseri umani tra 2009 e 2013


Tra venticinquemila e trentamila persone, negli ultimi cinque anni, sono state sequestrate o hanno perso la vita nel Sinai egiziano. Fuggono soprattutto dall’Eritrea, ma restano vittime di trafficanti che, solo grazie ai riscatti, hanno accumulato in questi anni 600 milioni di dollari. Sono i dati del rapporto “Human Trafficking Cycle: Sinai and beyond”, curato da ricercatori eritrei e olandesi e presentato ieri alla Camera dei Deputati con la partecipazione dell’agenzia Habeshia. Per noi c’era Davide Maggiore: RealAudioMP3

Uomini, donne e bambini sono trattati come merce, rinchiusi in veri e propri “magazzini” e poi in sale di tortura dove subiscono violenze di ogni genere, spesso comunicate ai familiari per affrettare il pagamento del riscatto. E le estorsioni a volte continuano anche quando le vittime non sono più in vita. Lo spiega Meron Estefanos, giornalista eritrea, residente in Svezia, tra le autrici del rapporto:

"When somebody dies, the hostages are told not to tell anybody - their families or anyone - …
Quando qualcuno muore, le istruzioni agli altri ostaggi sono di non dirlo a nessuno – né alla famiglia né a nessun altro – affinché possano continuare ad estorcere denaro, a meno che la famiglia non senta più la voce: allora questo significa che la persona è morta. Ma loro chiedono il pagamento anticipato per farti parlare con tuo figlio, per farti sentire la sua voce. Quindi, non sai nulla; pensi: potrebbe essere morto, ma devo pagare comunque …".

Ma la tratta non si ferma una volta che i migranti sono arrivati in Occidente: qui, infatti, se vogliono continuare il viaggio, rischiano di finire nelle mani di altri criminali. Ascoltiamo Meron Estefanos:

"I was just interviewing a 12 year old child, who survived the Lampedusa tragedy …
Ho appena intervistato un ragazzino di 12 anni, sopravvissuto alla tragedia di Lampedusa: per arrivare da Agrigento a Milano ha dovuto pagare un contrabbandiere, e questo è normale. Non dovrebbe essere così, ma loro non lo sanno. Ci sono contrabbandieri che dicono: “Ah, vuoi andare a Milano? Devi pagare tanto …”. E così, quel ragazzino ha dovuto chiedere alla famiglia di mandargli il denaro per andare a Milano; una volta lì, ha contattato altri trafficanti per farlo arrivare in Svezia in cambio di 1200 euro. Quindi ha contattato di nuovo la famiglia. Invece, lo hanno portato a 20 km da Milano, l’hanno lasciato solo e gli hanno detto: 'Questa è la Svezia'".

E anche coloro che raggiungono l’Europa e Israele senza diventare di nuovo vittime dei trafficanti, trovano spesso condizioni molto diverse da quelle attese. Lo spiega don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia:

“Una volta arrivati in Israele, purtroppo, spesso devono affrontare altre detenzioni, perché la legislazione non li riconosce come rifugiati, per cui sono tenuti in questi centri di detenzione senza alcuna prospettiva per il futuro. Anche in Europa, una volta arrivati, se noi prendiamo il caso dell’Italia, abbiamo migliaia di rifugiati o persone che hanno avuto una protezione sussidiaria umanitaria che sono totalmente abbandonati a sé stessi”.

Per fermare questo traffico, sostiene don Mussie Zerai, è importante agire sulle cause che spingono i migranti a fuggire dai Paesi d’origine, ma anche gli Stati africani di transito hanno strumenti per intervenire:

“Le legislazioni per combattere il traffico di esseri umani ci sono già, solo che non vengono applicate, per il semplice motivo che c’è la corruzione. I testimoni ci raccontano degli stessi poliziotti sudanesi che li vendono ai trafficanti. E lo stesso se andiamo in Libia: nei vari centri di detenzione queste persone sono costrette a pagare i miliziani o chi è di guardia per uscire dai centri. Quindi la comunità internazionale prima di tutto deve spingere questi Stati ad applicare le leggi già esistenti per combattere il traffico di esseri umani e cercare anche di aprire dei canali umanitari protetti per queste persone che sono costrette a fuggire”.

Infine, c’è il ruolo dell’Europa, su cui si sofferma un’altra delle autrici del rapporto, la professoressa Mirjam Van Reisen, dell’Università di Tilburg:

"It is very important that Europe, in its externalisation of its migration policy,…
E’ molto importante che l’Europa garantisca, nell’adozione della sua politica per le migrazioni, che questa fornisca elementi per la protezione delle persone. L’altra cosa che l’Europa deve fare è garantire che le persone che sono veramente richiedenti asilo abbiano accesso all’asilo e che non si crei un circolo vizioso dato dal Regolamento di Dublino, in funzione del quale la gente viene mandata da uno all’altro dei Paesi membri dell’Unione Europea".







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