Guinea Conakry: l’Anno della Fede è un’occasione per riflettere sulle ferite del Paese
“Il popolo guineano deve sempre astenersi da ogni violenza e capire che quello che
si distrugge oggi ha richiesto dieci anni per essere costruito”. E’ quanto ha dichiarato
mons. Emmanuel Félémou, vescovo della diocesi di Kankan e presidente della Conferenza
episcopale della Guinea Conakry in un’intervista rilasciata all’agenzia Guinéenews
in occasione delle celebrazioni conclusive dell’Anno della Fede. Nell’intervista il
presule illustra il significato di questo evento mondiale indetto dal Papa emerito
Benedetto XVI per la Chiesa guineana, anche alla luce delle travagliate vicende politiche
del Paese ancora in preda a violenze, anche a sfondo etnico, e all’instabilità. “La
celebrazione dell’Anno della Fede ci ha permesso di riflettere sulle nostre ferite
e anche di dire la verità sulla situazione politica della Guinea Conakry”, spiega.
“Sappiamo che il Paese ha attraversato non poche difficoltà e dunque che deve chiudere
le sue ferite, riconciliarsi, vivere in fratellanza e amicizia, come in una famiglia”.
In questo senso, afferma il presule nell’intervista , “i politici guineani devono
capire che hanno come missione non di riempirsi le proprie tasche, ma quelle dei poveri,
permettendo loro di vivere come gli altri e di ritrovare la dignità, con la corrente
elettrica, acqua, strade, perché il nostro Paese è molto ricco. Questo – aggiunge
- significa che ciascuno deve potere usufruire di queste risorse: oro, diamanti, bauxite
e anche petrolio. Ecco perché - sottolinea mons. Félémou - noi diciamo che la fede
deve scuotere la coscienza della gente perché possano agire secondo la volontà di
Dio”. Quindi il suo monito a non ricorrere alla violenza per affermare le proprie
ragioni: “Quando le cose non vanno si può manifestare e anche avanzare rivendicazioni,
ma non distruggere case e macchine” e soprattutto non rovinare l’infanzia che “significa
distruggere tutto un popolo”. Malgrado le sue ricchezze naturali, la Guinea non riesce
a far uscire la popolazione da una povertà endemica. Il Paese è 178° posto su 186
Paesi nella classifica mondiale dello sviluppo umano, nonostante detenga circa la
metà delle riserve mondiali di bauxite. Questa povertà diffusa ha contribuito a mantenere
alta la tensione socio-politica che sfocia regolarmente in violenze estreme, nella
maggior parte dei casi su base etnica. (L.Z.)