Nel Sinai, in cinque anni, circa 30 mila vittime della tratta di esseri umani
Tra venticinquemila e trentamila persone, negli ultimi cinque anni, sono state sequestrate
o hanno perso la vita nel Sinai egiziano. Fuggono soprattutto dall’Eritrea, ma restano
vittime di trafficanti che, solo grazie ai riscatti, hanno accumulato in questi anni
600 milioni di dollari. Sono i dati del rapporto “Human Trafficking Cycle”,
curato da ricercatori eritrei e olandesi e presentato ieri alla Camera dei Deputati
con la partecipazione dell’agenzia Habeshia. Per noi c’era Davide Maggiore:
Quello del
Sinai è un “ciclo della schiavitù”, sostengono gli autori del rapporto: non si ferma
ai cosiddetti “magazzini” umani e alle vere e proprie “sale di tortura” dove i migranti
subiscono terribili abusi. Chi raggiunge l’Europa meridionale, infatti, può cadere
nelle mani di altri trafficanti, se vuole continuare il viaggio verso nord. E secondo
don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia, il contrasto alla
tratta deve cominciare già dai Paesi africani di transito che, in alcuni casi, ne
avrebbero gli strumenti:
“Le legislazioni per combattere il traffico di
esseri umani ci sono già, solo che non vengono applicate, per il semplice motivo che
c’è la corruzione. I testimoni ci raccontano degli stessi poliziotti sudanesi che
li vendono ai trafficanti, e lo stesso se andiamo in Libia: nei vari centri di detenzione
queste persone sono costrette a pagare i miliziani o chi è di guardia per uscire da
questi centri. Quindi la comunità internazionale prima di tutto deve spingere questi
Stati ad applicare le leggi già esistenti per combattere il traffico di esserti umani
e cercare anche di aprire dei canali umanitari protetti per queste persone che sono
costrette a fuggire”.