Italia, protesta dei "forconi". Cozzi: si sta allargando a macchia d'olio
Dal Nord al Sud è iniziata ieri “Fermiamo l’Italia”, la protesta che prende le mosse
dal movimento dei “forconi”. A scioperare autotrasportatori, ma anche artigiani e
agricoltori. Blocchi e presidi in tutta la penisola. Disagi nella viabilità, in particolare
in Veneto. Bloccati i binari della stazione di Genova Brignole. La situazione più
critica a Torino, con tafferugli tra le forze dell’ordine e i manifestanti. Lanciate
pietre e lacrimogeni. Un carabiniere è rimasto leggermente ferito. Aggredito un fotografo
che collabora con l’Ansa e colpita la postazione di Sky in piazza Castello. "Le proteste
in Italia sono legittime se rispettano le leggi. Noi impediremo che vengano violate",
ha detto il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Sulla protesta Debora Donnini
ha sentito Tommaso Cozzi, professore di economia all’Università “Regina Apostolorum”
di Roma:
R. – Questa
protesta non ha una ragione di tipo tecnico, perché le richieste effettuate, soprattutto
dal movimento di “forconi” o movimento degli autotrasportatori hanno incontrato la
collaborazione da parte del governo, in particolare da parte del Ministero delle infrastrutture.
Quindi, le richieste che erano state avanzate già da questa estate sono state soddisfatte.
La sensazione che si ha è che gli autotrasportatori si stiano facendo portavoce per
il diffuso disagio e le diffuse situazioni di precarietà che la nostra Nazione sta
vivendo: guardando anche i manifesti e le ragioni di questa protesta si va molto oltre
rispetto al problema dei trasporti o, per esempio, del costo dei carburanti in senso
stretto.
D. – Ieri, infatti, i movimenti territoriali protagonisti della manifestazione,
che si raccolgono sotto la sigla “Costituente Rete Civica Nazionale”, ricorreranno
– è stato annunciato – contro lo Stato italiano presso la Corte europea di Strasburgo
per violazione dei diritti umani e della dignità della persona. Si sottolinea il forte
peso fiscale che c’è in Italia, la conseguente chiusura delle aziende, la perdita
dei posti di lavoro, il trasferimento delle aziende all’estero. Questa è una questione
spinosa per l’Italia…
R. – Certo. Dallo stesso contenuto della denuncia che
è stata presentata si nota come le richieste vadano ben oltre i problemi specifici
di categoria. In effetti, il Ministero delle infrastrutture, per quanto riguarda la
pressione fiscale sui carburanti – quindi le accise sui carburanti – aveva già posto
rimedio. Qui si tratta, in realtà, di una protesta che riguarda la pressione fiscale
in generale, gravante sulle imprese non solo del settore dei trasporti. Dalle ultime
notizie, infatti, mi risulta che si stiano aggregando anche commercianti, artigiani…
Ma il problema non è solo quello della pressione fiscale, in quanto gli scioperanti
stanno reclamando anche una maggiore attenzione rispetto ai diritti civili, stanno
cercando di affrontare una protesta che coinvolga anche gli studenti, i giovani riguardo
al loro futuro lavorativo. Ecco, la sensazione che si ha è che si stia allargando
a macchia d’olio una protesta che, lanciata dagli autotrasportatori, stia riguardando
in realtà una situazione che forse non possiamo definire di immobilismo, ma certamente
di lentezza rispetto ai problemi che la nostra Nazione sta vivendo a 360 gradi.
D.
– La questione dell’alta tassazione e del trasferimento delle aziende italiane all’estero,
anche in Paesi vicini come Austria e Slovacchia, è una questione reale, è davvero
un problema…
R. – Certo, è un problema perché non solo la delocalizzazione
fa perdere posti di lavoro e imprese, ma la cosa grave è che trasferendo le imprese
all’estero, gli stessi imprenditori italiani che delocalizzano diventano concorrenti
– dall’Austria, dalla Slovenia, dalla Polonia – delle imprese italiane che rimangono.
Il punto è che, per esempio, sulla riduzione della pressione fiscale sul costo del
lavoro, che ridarebbe ossigeno alle imprese e agli stessi lavoratori, si sta ancora
ragionando. Ecco, queste sono le lentezze a cui facevo riferimento prima, che stanno
portando la Nazione in una situazione di difficile recupero.