Wto, accordo sulle liberalizzazioni. Quadrio Curzio: grande progresso, ma servono
fatti
La Comunità Internazionale, all’indomani dello storico accordo al Wto (World Trade
Organization) di Bali, sulla liberalizzazione degli scambi, ha iniziato ha lavorare
all’agenda di sviluppo. Entro 12 mesi si dovranno tradurre in concretezza le strategie
dell’Organizzazione mondiale del Commercio, che mirano a rilanciare l’economia a livello
planetario. Massimiliano Menichetti ha intervistato l’economista Alberto
Quadrio Curzio:
R. – Certamente,
c’è stato un grosso progresso. Naturalmente, la liberalizzazione, come viene chiamata,
è una enunciazione di principio. Bisogna vedere, poi, come in pratica andranno ad
essere attuate queste disposizioni.
D. – Il testo prevede che la Commissione
per i negoziati commerciali entro dodici mesi prepari a Ginevra un programma di lavoro
concreto. In base a quello che stava dicendo, vuol dire che bisognerà aspettare, con
il rischio che l’accordo rimanga lettera morta come fu per Doha nel 2001?
R.
– Questi dodici mesi che sono stati dati, sono dodici mesi cruciali. Credo, dunque,
che in quei dodici mesi i singoli Paesi, che obiettivamente non hanno interessi coincidenti,
hanno interessi convergenti, eserciteranno le loro specifiche preferenze, per vedere
come contenere i propri interessi, chiamiamoli pure individuali, dentro un principio
più generale di cooperazione internazionale. Vorrei fare due osservazioni più specifiche:
i Paesi in via di sviluppo hanno una forte attenzione, giustamente, sia all’esportazione
dei loro prodotti agricoli, nei confronti dei quali spesso sono i Paesi sviluppati
a frapporre delle barriere, e a loro volta i Paesi sviluppati hanno un’esigenza che,
sempre con riferimento ai prodotti agricoli o provenienti dall’attività agro-zootecnica,
giungano ai Paesi non sviluppati con adeguate garanzie di qualità.
D. – La
Cina festeggia lunedì prossimo il dodicesimo anno di entrata nel Wto. Che cosa significa
questa presenza oggi?
R. – Significa che ci sono voluti dodici anni per far
sì che l’attività commerciale della Cina stessa andasse gradualmente ad adattarsi
alle esigenze altrettanto rispettabili e fondate dei Paesi sviluppati.
D. –
Si riferisce alla concorrenza e al rispetto del diritto del lavoro?
R. – Questi
erano argomenti con riferimento ai quali si osservava che la Cina poneva in essere
quelli che in termini economici si chiamano “dumping” di varia natura. Via via, però,
ci si sta avviando verso una soluzione positiva.
D. – Sicuramente, a livello
globale, c’è molto da fare e tante sono le sfide. Ma, secondo lei, stiamo andando
nella giusta direzione?
R. – E’ difficile dirlo, perché se noi guardiamo anche
i grandi poli sviluppati – Stati Uniti, Giappone ed Europa – ci sono delle politiche
di convergenza, ma ci sono anche delle politiche di competizione. E tra queste politiche
faccio notare che quello che oggi, soprattutto per i suoi effetti sul commercio internazionale,
presenta punti problematici, sono le politiche valutarie. Chiaramente gli Stati Uniti
e il Giappone, infatti, stanno ponendo in essere delle politiche valutarie di forte
deprezzamento delle loro valute e l’Unione Europea che, paradossalmente, è per taluni
versi più in crisi, vede un continuo apprezzamento dell’euro. E questo, ovviamente,
non favorisce le esportazioni. Per esempio, quindi, sotto questo profilo bisognerebbe
trovare un momento di confronto più diretto tra i tre grandi poli, che poi rappresentano
anche le tre grandi valute, per stabilire delle modalità di non eccessivo deprezzamento
delle valute stesse. Negli anni passati, per esempio, gli Stati Uniti si erano molto,
molto lamentati del dumping valutario della Cina, ritenendo che la moneta cinese fosse
artificiosamente tenuta bassa per esportare di più. Oggi, forse, potrebbe essere l’Europa
che dice che il dollaro è tenuto artificiosamente troppo basso, per esportare di più
ed importare di meno.
D. – A livello globale, secondo lei, serve più etica?
R.
– Ma non c’è il minimo dubbio che serva più etica. Naturalmente, come insegna anche
la Dottrina sociale della Chiesa, l’etica deve fondarsi su dei principi solidi e deve
trovare anche una traduzione nei momenti storici specifici. Mi riferisco naturalmente
alle applicazioni economiche.
D. – L’errore più grande, in questo momento,
che si compie, qual è?
R. – Bisogna passare da quella che è una filosofia del
rigore ad una filosofia della parsimonia e della sobrietà. Se lei mi dicesse, dunque:
“Va bene, ma mi riduca a poche battute le sue priorità”. Sarebbero: sviluppo per l’occupazione
dei giovani, ma non occupazione in senso meramente di retribuzione di un lavoro, ma
per dare prospettive di speranza e di futuro ai giovani.