Truppe francesi accolte dall'esultanza dei civili in Centrafrica: 400 morti in tre
giorni di violenze
Riportare pace e sicurezza in Centrafrica. E' la missione del nuovo intervento in
Africa della Francia che ha schierato 1600 militari nel Paese con l'obiettivo di porre
fine ai massacri compiuti dai miliziani islamisti "Seleka". Nella sola capitale Bangui
e in tre giorni di scontri, sono morte circa 400 persone. L'intervento, ha detto il
presidente francese Francois Hollande, sarà "rapido, efficace" e dovrà "disarmare
tutte le milizie e i gruppi armati". Le truppe francesi sono giunte nella Repubblica
centrafricana accolte dall’esultanza dei civili. Il servizio di Debora Donnini:
E’ dunque cominciata la missione francese nella Repubblica centrafricana.
I soldati hanno iniziato a pattugliare le principali strade e città al di fuori della
capitale, Bangui. Nel paese da giovedì sono iniziati gli scontri tra i ribelli islamisti
del Fronte Seleka e i combattenti rimasti fedeli al deposto presidente Francois Bozizé.
Molte le violenze sulla popolazione civile. Si contano almeno 400 morti. A fare il
punto sull’intervento militare, il presidente francese Francois Hollande che nel corso
del vertice Francia-Africa annuncia che Parigi ha dispiegato 1.600 soldati sul suolo
della Repubblica Centrafricana. Sarà un intervento veloce volto a ripristinare la
stabilità e consentire libere elezioni pluraliste, afferma Hollande spiegando che
la priorità sarà ''disarmare tutte le milizie e i gruppi armati che terrorizzano la
popolazione''. Anche per il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon è urgente" impedire
il peggioramento del quadro nella Repubblica Centrafricana. Sull'aggravarsi delle
violenze e della situazione umanitaria nella Repubblica Centrafricana ascoltiamo la
testimonianza di suor Elvira Tutolo, missionaria delle Suore della Carità di
Santa Giovanna Antida Thouret, che opera a Berberati, città a circa 650 km dalla capitale
Bangui. L'intervista è di Fabio Colagrande:00:03:27:77
R. –
Purtroppo, con grande dolore confermiamo tutto. Per quanto riguarda questi ultimi
avvenimenti, giovedì scorso – quando c’è stato l’attacco a Bangui – anche qui ci sono
stati spari. Anche se siamo a 600 chilometri di distanza la reazione è stata immediata
anche qui a Berberati: un fuggi fuggi di gente, i negozi chiusi, la banca chiusa,
i bambini che avevano appena ripreso la scuola sono stati tutti rimandati a casa.
D.
– Cosa pensa dell’intervento di questa forza di peacekeeping francese africana autorizzata
dall’Onu?
R. – Più che dire quello che penso vorrei esprimere un desiderio
molto chiaro: certamente in questo momento era necessario, anzi è arrivato in ritardo
secondo noi; i massacri si potevano evitare prima. Non possiamo più accettare che
si giochi con la gente che grida in questo momento: “Basta!”. La Repubblica centrafricana
è piccola ma si trova in un punto strategico dell’Africa. Non siamo così ingenui da
credere che gli interventi di qualsiasi tipo siano gratuiti. Il desiderio grande,
il grido grande che questo popolo fa è che anche questo intervento della Francia sia
veramente per un sostegno vero. Mi comprendete quando dico “vero”? Che non si nascondino
grossi interessi dietro ma che finalmente serva, dopo anni ed anni, davvero ad aiutare;
che sia un grido vero per lo sviluppo di questo Paese.
D. – Qual è la situazione
dei civili, la situazione in particolare dei bambini, perché le agenzie dell’Onu sono
molto preoccupate per la situazione umanitaria…
R. – Io sono presidente di
una onlus che si chiama “Kizito”, proprio per la protezione dei ragazzi, dei giovani
che vivono sulla strada. Purtroppo ne abbiamo perduti 35 – almeno quelli di cui siamo
a conoscenza - sono stati presi nei ranghi della Seleka. Ne abbiamo potuti proteggere
altri: li abbiamo sistemati in un centro agricolo ad otto chilometri da qui; ne sono
30. La realtà è molto dura, le famiglie sono molto provate: sono state saccheggiate,
i bambini ne hanno subito le conseguenze; ne abbiamo perduti tre – intendo dire che
sono morti – della nostra associazione. Quindi, i 30 ragazzi li proteggiamo in questo
centro ad otto chilometri da qui.
D. – Cosa significa vivere l’Avvento in questo
momento in Centrafrica; vivere l’attesa del Salvatore… R. – Di fronte tutta questa
distruzione, questa morte è proprio molto difficile continuare a credere e a sperare.
Ma come credenti e soprattutto come persone chiamate qui ad accompagnare la nostra
gente, anche se con fatica, dobbiamo desiderare che questa “utopia”, l’utopia del
Regno, diventi sempre più una realtà. Che la pazienza, la perseveranza sia il nostro
pane di ogni giorno per poter continuare a sostenere i nostri fratelli, che questo
Dio che deve venire, venga realmente anche per la Repubblica centrafricana.