"Papa Francesco. La mia porta è sempre aperta". P. Spadaro: per Bergoglio, Dio ci
sorprende sempre
“Papa Francesco. La mia porta è sempre aperta”: è il titolo del libro-intervista con
Papa Francesco realizzato dal direttore de “La Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro.
Il testo, presentato a Roma, propone una versione più completa della conversazione
con il Pontefice, pubblicata in precedenza dalla rivista dei Gesuiti. Debora Donnini
ha chiesto a padre Antonio Spadaro quali siano le novità del libro:
R. – Il libro
contiene l’intervista e ha tutta una parte di commento, che in realtà include del
virgolettato in più. Quindi, cose che il Papa ovviamente ha rivisto – ho fatto tutto
questo con il suo permesso – elementi che si sono aggiunti e poi una serie di approfondimenti
che collegano ciò che il Papa ha detto adesso con ciò che aveva detto nel passato,
nelle sue omelie, nei suoi discorsi da cardinale arcivescovo di Buenos Aires. Devo
dire che è stata un’esperienza intellettuale anche molto forte per me, oltre che umana
e spirituale.
D. – Alcune espressioni di questa intervista a Papa Francesco
sono rimaste emblematiche. Per esempio, il Papa dice che la cosa di cui la Chiesa
ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite, di riscaldare il cuore dei
fedeli: “Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia”. Queste espressioni
quanto sono centrali nella sua intervista?
R. – Questa è assolutamente l’immagine
centrale dell’intervista, a mio avviso, perché esprime una visione della Chiesa: un’immagine
fortissima, in cui comprende il mondo come un luogo in cui ci sono persone ferite,
in cui c’è bisogno di salvare la vita alla gente, non solo di curare il colesterolo,
come dice lui, o i trigliceridi. Quindi, l’uomo va aiutato, la Chiesa deve aprire
le porte e annunciare il Vangelo a tutti, in qualunque condizione di vita essi si
trovino. Direi quindi che sia l’immagine guida che ci fa comprendere quale sia la
visione della Chiesa di Papa Francesco.
D. – Un’altra parola centrale per Papa
Francesco è la “missionarietà”. Come viene fuori in questo libro-intervista?
R.
– La “missionarietà” è la visione che il Papa ha davanti del compito della Chiesa.
Il compito della Chiesa è quello di aprire le braccia, di aprire le porte, come dice
spesso lui, ma non soltanto per far entrare la gente, ma per far uscire il Signore
dalle Chiese e farlo andare nel mondo. Quindi la Chiesa è chiamata in radice ad essere
missionaria.
D. – Infatti, lui dice che la cosa più importante è il primo
annuncio: ‘Gesù Cristo ti ha salvato’. Quindi, il kerygma, che poi riprende anche
nell’ Evangelii Gaudium...
R. – Esattamente. L’approccio kerygmatico
per lui è fondamentale: è il primo annuncio del Vangelo, cui si unisce – questa è
la tensione dell’Esortazione apostolica – un altro elemento, che è il discernimento.
Bisogna, quindi, far sostanzialmente due cose: innanzitutto riconoscere dove il Signore
si trova e come agisce ed opera nel mondo, e poi annunciare il Vangelo al mondo. Sono
due cose non in contraddizione, ma che devono andare di pari passo.
D. – Se
lei dovesse definire Papa Francesco con una parola, alla luce di questa intervista,
cosa direbbe?
R. – “Sorpresa”, semplicemente perché è il riflesso del Dio delle
sorprese. Il Papa ha affermato più volte che per lui Dio è il Dio che sorprende, il
Dio delle sorprese.
D. – Il Dio che anticipa...
R. – Il Dio che anticipa,
perché è sempre più grande delle nostre idee. Ma, in questo senso, è profondamente
gesuita, perché il motto della Compagnia di Gesù è “Ad Maiorem Dei Gloriam”, cioè
ad una gloria di Dio sempre maggiore. Non si finisce mai, quindi, e non finiranno
neanche le sorprese.