Immigrazione. A Bruxelles si discute del lavoro della task force per il Mediterraneo
L’Unione Europea e l’immigrazione. Oggi a Bruxelles verrà discusso dai ministri degli
Affari interni il lavoro condotto dalla task force per il Mediterraneo, prima di passare
al vaglio del vertice del 19 e 20 dicembre. Vari gli interventi previsti dal documento,
a partire da Frontex, l’operazione di pattugliamento dei confini e soccorso in mare
da Cipro alla Spagna, evocata dal commissario Malmstrom all’indomani della strage
di Lampedusa.
L'isola di Lampedusa ''è stata lasciata sola da tutta Europa''.
Lo torna a dire il presidente del Consiglio, Enrico Letta, a due mesi dal tragico
naufragio del 3 ottobre in cui morirono 366 migranti. Mentre una proposta di legge
è pronta per far diventare il 3 ottobre “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza”,
il ministro Cécile Kyenge ha presieduto ieri il convegno "Emergenza profughi a Lampedusa.
Cosa è cambiato?". Cecilia Sabelli ha posto lo stesso interrogativo a Oliviero
Forti di Caritas italiana:
R. – Dire che sia cambiato qualcosa, sarebbe
dire una bugia. Non organizzarsi tempestivamente per affrontare una questione, che
non è più straordinaria ma ordinaria – ogni anno abbiamo questi numeri, ogni anno
abbiamo gli arrivi – è un problema però tipicamente italiano. In questo caso, poco
c’entra l’Europa. Sembra sempre di riscoprire di volta in volta un tema che invece
ormai fa parte del nostro essere Italia in mezzo al Mediterraneo, e a Lampedusa ancor
di più.
D. – Abbiamo ancora impresse le immagini di questi centri di prima
accoglienza, gremiti, dove pioveva sulle teste di quanti erano scampati. Qual è la
situazione attuale?
R. – Le persone sono state poi correttamente trasferite,
perché questo prevede la procedura. Il problema è la tempistica. Vengono mantenute
per giorni e giorni, se non settimane, in quelle condizioni, in quel centro, che doveva,
perché aveva i finanziamenti già stanziati, essere ristrutturato per accogliere fino
a 800 persone. Invece, la tragedia, quella del 3 ottobre, si è consumata sulle coste
di un’isola che ancora aveva un centro all’epoca in grado di ospitare non più di 250
persone. E’ difficile fare un richiamo all’Europa quando non siamo stati in grado,
nel momento del primo approdo, che è quello spesso, anche per il migrante, emotivamente
più forte di garantire quello che invece un Paese come l’Italia dovrebbe poter garantire
a queste persone.
D. – E che differenza c’è tra l’Italia e gli altri Paesi
europei?
R. – Sono Paesi che si sono attrezzati in tempo e adeguatamente, con
sistemi di accoglienza in grado di assorbire flussi anche eccezionali, come sta avvenendo
per la Svezia con riferimento ai siriani. Noi a questi siriani cosa stiamo offrendo
in questa fase storica per mettersi in salvo? Nulla se non gli aiuti umanitari previsti
direttamente nei Paesi confinanti con il Libano. Discorso a parte hanno fatto altri
Paesi, come la Germania, che hanno aperto dei canali umanitari e hanno previsto –
e questo lavoro è stato fatto con la Caritas tedesca – l’ingresso di migliaia di cittadini
siriani a determinate condizioni, andando però sostanzialmente a prenderli direttamente
nei campi profughi. Di fronte a realtà come questa, allora un ragionamento con l'Europa
diventa legittimo e anche utile.
D. – Nella sua visita a Lampedusa, poco prima
della tragedia, Papa Francesco denunciò una globalizzazione dell’indifferenza, a cui
a quanto pare non abbiamo smesso di partecipare...
R. – Assolutamente. Nessuno,
ripeto, oggi ha proposto un ingresso protetto delle persone, almeno dei più vulnerabili.
Parliamo, infatti, di milioni di persone, tra le quali ci sono tante persone malate,
tante persone anziane, bambini, insomma persone che meriterebbero chiaramente un tipo
cura che ad oggi, purtroppo, non viene garantita.