Eritrea: l'inferno dei migranti torturati e rapiti dall'esercito
Sono circa 30.000 gli eritrei sequestrati in Sinai tra il 2007 e il 2012: a denunciarlo
è un’inchiesta che è stata presentata al parlamento europeo questo giovedì, dal titolo
“The Human Trafficking Cycle: Sinai and Beyond”, basata sulla testimonianza diretta
di 230 eritrei. L’inchiesta, la prima così esaustiva su un fenomeno spesso ignorato
dai media, è stata realizzata da tre studiosi – due olandesi e un eritreo residente
in Svezia – secondo cui migliaia di giovani eritrei vengono rapiti dagli stessi generali
dell’esercito eritreo e deportati in Sudan. Qui, dopo essere stati torturati, i sequestrati
devono raccogliere dai familiari il riscatto richiesto dai rapitori per essere liberati
con la minaccia di essere venduti ai trafficanti di uomini del Sinai. A volte - riferisce
l'agenzia Misna - anche dopo aver pagato il riscatto, l’esercito eritreo li consegna
comunque ai trafficanti, che li torturano e chiedono un nuovo riscatto. Si stima che
negli ultimi sette anni ai familiari di queste persone siano stati estorti circa 600
milioni di dollari per il pagamento di riscatti. Un ruolo chiave nei rapimenti, secondo
quanto rivelano le anticipazioni del rapporto, lo svolge l’Unità eritrea di controllo
dei confini, guidata dal generale Teklai Kifle: questi spesso rapiscono i giovani
di 16 e 17 anni, costretti dal regime a completare il ciclo di studi prestando servizio
militare per un anno nel campo militare di Sawa. Una volta sequestrati - secondo
le testimonianze denunciate dal sacerdote eritreo don Zarai, fondatore dell'Associazione
Habeshia - gli eritrei vengono torturati e rinchiusi in prigioni sotterranee. Le donne
vengono stuprate a ripetizione, spesso anche in pubblico, e ai genitori vengono fatte
ascoltare le urla dei figli attraverso telefonate durante le sevizie. Per i giovani
eritrei viene di solito chiesto un riscatto di 10.000 dollari. Secondo i tre ricercatori
molti eritrei non sopravvivono ai trafficanti e alle torture. “Tra le 5000 e le 10.000
persone muoiono per mano dei trafficanti mentre sono in cattività”, dichiarano i ricercatori
al quotidiano britannico The Guardian, secondo cui in molti gruppi almeno la metà
perde la vita e spesso tra le vittime ci sono anche bambini di appena due o tre anni.
Da anni le associazioni per i diritti umani denunciano le condizioni di vita della
popolazione, circa 6 milioni di persone, nell’Eritrea di Isaias Afewerky definendola
una “prigione a cielo aperto” e una sorta di “Corea del Nord dell’Africa”. I giovani
eritrei, uomini e donne, sono costretti ad un servizio di leva che può durare fino
a 40 anni. Il governo di Asmara, tuttavia, permette ai suoi abitanti di scappare,
con il rischio di essere catturati dai trafficanti, ma una volta arrivati in un nuovo
paese lo Stato pretende da loro una tassa del 2% su tutte le loro rimesse dall’estero.
Il tutto, con la distratta complicità dei Paesi in cui molti hanno ottenuto lo status
di rifugiati politici. Secondo stime delle Nazioni Unite, sono circa 3000 al mese
gli eritrei che lasciano la madre patria. (R.P.)