Appello del Papa per le suore rapite in Siria. Una religiosa: al Paese serve ritrovare
unità
Nuovo accorato appello del Papa per la Siria ieri, al termine dell’udienza generale.
Il Pontefice chiede di pregare in particolare per le cinque suore ortodosse portate
via con la forza da Ma’lula, probabilmente dai ribelli del Fronte Al Nusra, affiliati
di Al Qaeda. La città è devastata dagli islamisti e le religiose – secondo quanto
riferisce anche il Patriarcato greco ortodosso a Damasco – sarebbero in buone condizioni.
Sul terreno, intanto, ancora violenza con 4 vittime a Damasco e 18 ad Aleppo mentre
il dialogo in vista della Conferenza "Ginevra 2" diventa sempre più difficile. Il
servizio di Gabriella Ceraso:
“Desidero
ora invitare tutti a pregare per le monache del Monastero greco-ortodosso di Santa
Tecla a Ma’lula, in Siria, che due giorni fa sono state portate via con la forza da
uomini armati. Preghiamo per queste sorelle e per tutte le persone sequestrate a causa
del conflitto in corso. Continuiamo a pregare e a operare insieme per la pace”.
Dunque,
preghiera e opere, per una pace già tante volte invocata dal Papa, assieme al dialogo,
sempre più difficile in Siria. Proprio oggi, mentre l’Onu insiste perché il governo
apra corridoi umanitari per due milioni e mezzo di siriani non raggiunti dalle Ong,
il ministro dell’Informazione a Damasco sfida nuovamente l’opposizione, dicendo che
sarà il presidente Assad a guidare qualsiasi governo di transizione che emergerà dalla
Conferenza internazionale di gennaio a Ginevra. In questo clima, e soprattutto dopo
l’allontanamento forzato delle suore, tutti i religiosi in Siria si stringono al Papa,
come commenta ai nostri microfoni una suora di un monastero trappista del Paese:
R.
– Noi, in un certo senso, siamo nella stessa situazione, solo che siamo in un Paese
prevalentemente alawita, quindi corriamo meno rischi che non le sorelle che si sono
trovate accerchiate dai sunniti. Le capiamo tantissimo, così come quelle comunità
che sono state toccate dall’odio. Noi le abbiamo sempre nel cuore e preghiamo per
loro.
D. – Il Papa chiede di pregare e anche di continuare a operare per la
pace...
R. – In un certo senso, il nostro modo di vivere, i contatti che abbiamo
con tutto il circondario, sono un modo di operare per la pace. Il fatto semplicemente
di essere qui e pregare per loro ha un grandissimo significato. E poi, il fatto che
ci vedano accoglienti: questo è il nostro modo di mantenere desta la speranza. Il
grosso problema, infatti, è che se la speranza decade, la gente non si muove più.
Per fortuna, qui le persone sentono la vita che viene dalla terra e vogliono vivere
in questa terra.
D. – Arrivano aiuti dalla comunità internazionale?
R.
– In genere, sono le chiese che cercano di sostenere e anche noi siamo un punto di
sostegno, occupandoci anche noi degli sfollati e della gente, che è rimasta senza
niente e così via, con gli aiuti che ci vengono direttamente dall’Italia. Gli aiuti
internazionali, quindi, non si sa mai dove arrivino e da chi siano sfruttati.
D.
– Tutti, in questo momento, parlano a livello politico di questo appuntamento di Ginevra
di fine gennaio. L’auspicio è che la preghiera che ha chiesto oggi il Papa vada anche
a quello che è il futuro politico della Siria...
R. – Non c’è da fare semplicemente
una pace politica, occorre pensare a una ripresa del popolo, una ripresa dell’unità
che c’era prima, a far sparire le paure, a far reincontrare la gente. Prima che succedesse
tutto questo – sono quasi ormai tre anni – nemmeno si sapeva di che religione fosse
l’amico che abitava vicino a te. Non era necessario saperlo, infatti: l’importante
era essere siriani insieme. Adesso, hanno paura gli uni degli altri. E poi tutta la
violenza che accade sotto gli occhi dei piccoli. Io mi chiedo quanta gente, di quella
che siederà al tavolo delle trattative a "Ginevra 2", vorrà veramente il bene del
popolo della Siria. E questo è il tragico della situazione: ciascuno si siederà avendo
le sue idee in testa e i suoi interessi. Questa è una cosa molto grossa, difficile
da ottenere.