La Santa Sede segue con apprensione il caso delle 5 suore rapite in Siria
E' necessario raggiungere un “rapido accordo” per evitare che la crisi in corso dal
marzo del 2011 in Siria trasformi il Paese “in una grande Somalia”. A sostenerlo l'inviato
delle Nazioni Unite e della Lega Araba per la pace Lakhdar Brahimi. Preoccupazione
condivisa anche dalla comunità internazionale. Intanto sul campo è ancora sangue:
ieri un kamikaze ha causato almeno 4 morti a Damasco. Intanto la Santa Sede segue
con apprensione il caso delle 5 suore rapite tre giorni fa nel villaggio cristiano
di Maalula, in Siria. Ancora nessuna rivendicazione da parte dei sequestratori, molto
probabilmente legati al Fronte Al Nusra, affiliazione di Al Qaeda nel Paese. Salvatore
Sabatino ha intervistato mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei
e presidente di Caritas Siria:
R. – Secondo
le ultime notizie, le suore rapite in Siria sono cinque e non dodici: la superiora
e altre quattro suore. Sono state rapite nella notte, due giorni fa, e sono state
condotte a Yabroud, una città non lontana, Non abbiamo altre notizie.
D. –
Come è stata accolta la notizia dalla popolazione siriana?
R. – Generalmente,
Maalula è un simbolo molto importante non soltanto per i cristiani, ma anche per i
musulmani di Siria e del Medio Oriente, perché sanno che lì si parla ancora oggi la
lingua di Cristo, un dialetto aramaico. Per questo, la gente è molto colpita da questo
evento.
D. – Tra l’altro, le suore sono molto impegnate nel sociale: avevano
con loro degli orfani…
R. – Sì, c’erano degli orfani. Il loro è un monastero
ortodosso tradizionale, dove viene praticata molto la pietà. La gente viene in pellegrinaggio,
è molto famoso. Non c’è una persona che non vada a Maalula e Saidnaya, in Siria. Soprattutto
per la festa della Croce, il 14 settembre, sulla montagna di Maalula.
D. –
Vi siete fatti un’idea sul motivo del rapimento di queste suore? Un atto di ritorsione
nei confronti della comunità cristiana, o il motivo è semplicemente legato alla guerra
e l’occupazione della città ha portato a questo?
R. – Io penso, in primo luogo,
che la ragione risieda nella guerra. Noi, come cristiani, come Chiesa in Siria, non
vogliamo dire che sia una guerra contro i cristiani, perché noi vogliamo essere una
presenza di riconciliazione e di convivenza. Questa è la nostra vocazione. Non vogliamo
provocazioni con i musulmani.
D. – Dopo quanto accaduto a Maalula, i cristiani
si sentono minacciati?
R. – Sì, sì. Perché quello che è successo ha significato
toccare un luogo sacro della cristianità e fino ad oggi – da secoli! – nessuno fatto
una cosa simile a Maalula, un luogo cristiano, sacro però non soltanto per i cristiani
ma anche per tutti gli altri.
D. – Un suo pensiero, una sua riflessione su
queste suore…
R. – Spero possano essere liberate presto e mi dispiace molto
per quello che è successo a Maalula. Spero che dove si trovano ora stiano bene.