Giornata internazionale diritti persone con disabilità. L'Onu chiede una società inclusiva
per tutti
Sono circa un miliardo nel mondo le persone con disabilità, la maggior parte concentrata
nei Paesi in via di sviluppo, con la relativa difficoltà di accesso ai servizi riabilitativi
o ad appropriati servizi di base. Per ribadire la necessità di sostenere la piena
inclusione delle persone diversamente abili in ogni ambito della vita, ieri si è celebrata
in tutto il mondo la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità,
indetta dall’Onu, sul tema quest’anno “Rompi le barriere ed apri le porte; per realizzare
una società inclusiva per tutti!”. In Italia, le persone con disabilità sono circa
il 7%, ma ancora oggi si registrano discriminazione e violenza, di qui la scelta dello
slogan “Tutti diversi… Tutti protagonisti”. Francesca Sabatinelli ha intervistato
il presidente della Fish, la Federazione italiana per il superamento dell’handicap,
Pietro Barbieri:
R. - La nostra
comunità nazionale non ha ancora fatto una scelta chiara da questo punto di vista,
e non parlo solo di norme ma parlo di comportamenti, di trattamenti nel loro complesso.
Se un amministratore locale non firma una delibera per l’inclusione di persone con
disabilità, lo si deve al fatto che nutre un pregiudizio. E questo stigma che continua
a esserci nei confronti delle persone con disabilità, come di altre fasce della popolazione,
ci vede disoccupati all’80 % e via discorrendo. Questo ciò che va combattuto.
D.
- E’ chiaro che tutta la situazione crea delle urgenze, ma - a suo giudizio - quali
sono quelle più forti? Penso, ad esempio, all’inclusione dei bambini nelle scuole…
R.
- Quello è sicuramente un tema fondamentale, anche perché educare è una funzione centrale
delle politiche pubbliche e quindi l’esclusione che ancora c’è dalle scuole ordinarie
o perlomeno le classi di sostegno, che purtroppo imperano, sono sicuramente un tema
da dover affrontare nella maniera adeguata. Al contempo direi, però, che tema fondamentale
è la visione sociale della disabilità fondata sui diritti. Il tema centrale è che
noi spendiamo molto in sanità e scuola, ma molto poco sulle politiche sociali, che
sono poi quelle che danno una visione nuova a persone autonome, indipendenti, che
si muovono come tutti gli altri nella comunità e quindi contribuiscono alla crescita
economica, sociale, culturale della comunità.
D. – Molte volte si parla di
un’Italia a due velocità. Anche parlando della disabilità, si può dire che il Paese
è spezzato in due parti?
R. - E’ spezzata in due parti, talvolta anche in più
di due, nel senso che noi abbiamo sicuramente una differenza Nord-Sud, come avviene
per tutte le politiche. Essere disabile, o addirittura donna disabile, nel sud del
Paese equivale ad avere una doppia, tripla, discriminazione. Però, non è solo quella
la divisione. Spesso è anche tra città e ambiente rurale: nelle città tendenzialmente
c’è un riconoscimento maggiore dei diritti, negli ambienti più provinciali inevitabilmente
tutto questo rischia di perdersi.
D. - Su cosa intende pressare il governo?
R.
- C’è un piano di azione del governo che colpisce i fulcri essenziali, sono sette
azioni da dover realizzare. Crediamo sia giunto il momento di doverlo fare, col concerto
di tutte le amministrazioni centrali e delle autonomie locali e con la capacità anche
delle parti sociali organizzate, evidentemente, di riuscire ad essere forti protagonisti
in questo senso. Ecco, attuare il piano di azione. Siamo, credo, nella condizione
di dover dire oggi, ancora più che prima, che bisogna fare in modo che alle persone
con disabilità sia restituita la potestà di scelta così come a qualunque altro cittadino.
Ancora oggi, decide della nostra vita un medico che prescrive un ausilio, un percorso
riabilitativo o quant’altro. Dobbiamo essere riconosciuti per ciò che siamo, per le
potenzialità che abbiamo e per la capacità di scegliere, come per chiunque altro.