Giornata contro l'Aids. La denuncia di Msf: marcia indietro dei donatori internazionali
a causa della crisi
Nel mondo, alla fine del 2012, erano 35 milioni e 300 mila le persone sieropositive,
la maggior parte delle quali nel continente africano. Ieri, nella Giornata mondiale
contro l’Aids, si è voluto ricordare come, nonostante gli evidenti progressi, a tutt’oggi
sia questo il killer numero uno delle giovani donne in età fertile, e non soltanto
in Africa, ma a livello globale. Una preoccupazione espressa anche dal segretario
generale dell'Onu, Ban Ki-moon, nel messaggio per l'occasione. Slogan della giornata
di quest’anno è stato “No alle discriminazioni”, perché nel mondo stigma, pregiudizio
ed emarginazione sono ancora presenti. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Si è davvero
in una fase discendente dell’epidemia da HIV-AIDS, da trent’anni a questa parte, sia
nel numero di nuove infezioni, sia nel numero di morti, almeno in alcune aree del
pianeta. Unaids, il programma delle Nazioni Unite di lotta a questa malattia, nel
suo report ci dice che nel 2012 le nuove infezioni sono state 2 milioni e 300 mila,
con un calo del 33 per cento dal 2001; che le morti correlate all’AIDS sono state
1milione e 600 mila, scese del 29 per cento dal 2005 e che le nuove infezioni nei
bambini sono state 260 mila, segnando un -52 per cento dal 2001. Un quadro globale
positivo, ma che, analizzato nel dettaglio, ci dimostra come in realtà i progressi
siano stati compiuti in alcuni Paesi ma non in altri. "Medici Senza Frontiere" fornisce
il trattamento a 280 mila persone affette da HIV/Aids in 21 Paesi del mondo. Il commento
di Stella Egidi, responsabile medico di "Medici Senza Frontiere Italia":
"Vi
sono dei Paesi che hanno fatto enormi progressi, sono soprattutto i Paesi del Sud
dell’Africa, che sono quelli che hanno messo in atto programmi e strategie di lotta
all’epidemia più precocemente. Ma ce ne sono ancora molti altri – soprattutto quelli
della fascia centrale dell’Africa occidentale – nei quali i programmi di lotta sono
stati avviati con molto più ritardo e con molte più difficoltà. Noi abbiamo gli esempi
di alcuni Paesi nei quali lavoriamo: Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica
del Congo, Guinea, dove si assiste purtroppo ancora ad una estrema carenza di accesso
al trattamento per le persone che ne avrebbero bisogno: sia pazienti già infetti,
che mamme sieropositive per le quali sarebbe ovviamente necessario un trattamento
per prevenire, appunto, l’infezione del bambino".
Oltre a quelli citati
dalla Egidi, altri Paesi dove la maggior parte delle persone che ne avrebbe urgente
bisogno resta fuori dal trattamento sono la Nigeria, il Sud Sudan, il Myanmar. Il
Paese ad avere uno dei tassi di mortalità materna più alto è il Lesotho dove, spiega
MSF, “la copertura antiretrovirale per le donne incinte è scesa dal 76 per cento nel
2011 al 58 per cento nel 2012”. Ancora la Egidi:
"Per quanto riguarda i
Paesi dove ci sono stati maggiori successi, questi sono legati ovviamente ai grossi
numeri che quindi hanno comportato la presa di coscienza da parte dei governi del
fatto di avere in casa una vera e propria bomba ad orologeria, ecco che quindi ci
sono state una risposta ed una reattività maggiori. Anche da parte della società
civile. Negli altri Paesi, purtroppo, questo non è avvenuto per scarsità di risorse,
spesso anche per problemi culturali, legati anche sostanzialmente al fatto che trattandosi
di numeri minori colpiti dall’infezione, l’epidemia è stata percepita come un’emergenza
di più scarsa rilevanza".
Con uno sguardo alla mappa fornita da Unaids,
si coglie un drammatico aumento di nuove infezioni, pari al 50 per cento in più rispetto
al 2001, in Medio Oriente e nel Nord Africa, regioni dove il numero dei morti, nello
stesso lasso di tempo, è più che raddoppiato:
"In questi Paesi c’è stato
un ritardo nella presa di coscienza, relativa appunto all’emergere dell’epidemia;
vi è sicuramente un problema culturale e anche sociale di negazione dell’epidemia
stessa e della malattia, ed è estremamente difficoltoso anche semplicemente avere
cifre realistiche dell’epidemia, proprio perché non c’è stata un’attenzione da parte
dei governi e dei ministeri della salute, e quindi non c’è stato un sistema di sorveglianza
che abbia consentito, appunto, di avere cifre chiare. Ci sono Paesi come il Sudan
per i quali si hanno delle stime, ma non si ha assolutamente nessun tipo di dato realistico
relativamente al numero di persone infette".
Nel 2012 sono state 9 milioni
e 700 mila le persone che hanno avuto accesso ai trattamenti. L’Oms nel 2013 ha emanato
nuove linee che raccomandano per i sieropositivi un inizio di terapia il più anticipato
possibile, per prevenire l’immunodepressione, per garantire la sopravvivenza al maggior
numero possibile di persone. Eppure oggi sono 18 milioni i sieropositivi che non hanno
accesso alle cure. “Ogni giorno 4 mila persone, la maggior parte nei Paesi in via
di sviluppo – denuncia la Egidi – continuano a morire inutilmente a causa della malattia”:
"Ovviamente,
il fattore che più di tutti condiziona quello che sta accadendo nei Paesi in via di
sviluppo è sempre legato alla carenza di finanziamenti da parte dei donatori internazionali.
A seguito della crisi economica, ma anche a seguito di una serie di decisioni politiche,
si è assistito ad una vera e propria marcia indietro da parte dei donatori internazionali.
Pensiamo al Global Fund, il fondo mondiale di lotta all’AIDS,
alla tubercolosi e alla malaria: negli ultimi anni ha fatto una marcia indietro che
ha comportato, di fatto, per questi Paesi la necessità di dover tagliare i programmi
di cura, il che ha comportato: nuove persone infettate che non hanno avuto la possibilità
di curarsi, l’interruzione del trattamento per coloro che già erano sotto trattamento".
Si
stima che per il 2015 saranno necessari oltre 20 miliardi di dollari per rispondere
all’HIV. La preoccupazione della comunità internazionale e delle organizzazioni come
MSF è che durante la riunione per il quarto rifinanziamento del Fondo Globale, prevista
negli Stati Uniti il 2 e 3 dicembre, i donatori non riusciranno a destinare i miliardi
necessari alla ricostituzione del Fondo, con gravissime conseguenze sui Paesi in cui
l’Hiv/Aids è endemico.