Isole Senkaku-Diaoyu: Usa accettano le regole di Pechino, ma solo per i voli commerciali
Sempre alta la tensione intorno alle isole Senkaku-Diaoyu, nel mar cinese meridionale.
Gli Stati Uniti hanno invitato le compagnie aeree private a rispettare le regole imposte
da Pechino sullo spazio aereo. Nessun cambiamento, invece, per quanto riguarda i voli
militari che continuano a transitare sull’arcipelago conteso da Cina, Giappone e Taiwan.
Ma cosa c’è dietro questa annosa diatriba diplomatica? Eugenio Bonanata ne
ha parlato con Fernando Mezzetti, già corrispondente dalla Cina per il quotidiano
"La Stampa":
R. - Gli americani
finora si erano tenuti sostanzialmente fuori dalla vertenza. Poi, invece, hanno assunto
una posizione secondo la quale ritengono questi isolotti sperduti inclusi "nell’ombrello"
che storicamente forniscono al Giappone. E questa iniziativa cinese della zona aerea
li ha spinti a non riconoscere tale posizione di Pechino. Pechino sapeva che ciò sarebbe
accaduto, non poteva immaginare che gli americani avrebbero ignorato questo atto unilaterale
che certamente è destabilizzante.
D. - Ma che cosa c’è dietro questo processo?
R.
- In termini storici c’è la crescita di un Paese come la Cina, che è diventata la
prima potenza commerciale al mondo e che quindi, come tale, ha bisogno di proteggere
i suoi commerci. La Cina è stata una potenza navale mille secoli fa; ma in età moderna
non è stata una potenza navale; sta puntando a diventarlo. Malgrado gli armamenti
atomici, il dominio dei mari resta essenziale: gli Stati Uniti sono una superpotenza
perché hanno sempre dominato gli oceani, cosa che l’Unione Sovietica non ha mai fatto;
la Cina si sta dotando di una flotta d’alto mare - come questa portaerei che, benché
vecchia, riarmata e acquistata dai russi è comunque una portaerei, un gruppo di battaglia
- e puntano al domino dei mari. E questa loro iniziativa nel Mar Cinese meridionale
è la prosecuzione di ciò che hanno fatto su altri arcipelaghi nella regione, come
con le Isole Spratly che hanno unilateralmente dichiarato sotto la loro sovranità.
E con ciò, il Mar Cinese meridionale diventa un mare interno cinese con tante limitazioni
per la navigazione internazionale. Quindi, c’è l’ascesa di una potenza come la Cina
che ha messo in campo, se non una sfida, certamente un elemento di frizione con gli
americani che finora sono stati i dominatori solitari degli oceani, soprattutto del
Pacifico.
D. - C’è anche una questione di risorse del territorio?
R.
- È secondaria, secondo me. Da una parte c’è un Giappone che si sente umiliato perché
60 anni dopo la fine della guerra, dopo la resa, è ancora vincolato dalla costituzione
pacifista imposta dagli americani. Quindi è un Paese che si sente costantemente umiliato
da parte della Cina, la quale non fa che rinfacciare il passato, senza decidersi,
non dico a voltare le spalle a ciò che è stato, ma senza guardare pienamente al futuro.
Dall’altra parte c’è la Cina che si pone come potenza unica in Asia da cui vuole espellere
anche gli americani e che vuole affermare la propria superiorità economica e certamente
quella militare, perché dotata di armi atomiche e davanti al Giappone. Quindi c’è
un Giappone in posizione subordinata, una Cina in crescita e gli Stati Uniti finora
solitaria superpotenza particolarmente in quell’area, nel Pacifico. E questo è un
elemento di frizione tra le tre potenze...
D. - Ma sono coinvolte, entrano
in gioco, anche altre diplomazie e altri Paesi dell’area?
R. - È significativo
che la Corea del Sud abbia subito partecipato con gli Stati Uniti e con il Giappone
ai voli dimostrativi militari senza soggiacere alle disposizioni cinesi. La Corea
del Sud continua, intanto, nei risentimenti verso il Giappone per il dominio e per
l’annessione che subì nella prima metà del Novecento; ma poi ha questo gigante accanto
– la Cina – e si sente più tranquillo se gli americani continuano a difendere il loro
"ombrello" sulla penisola.
D. - Come se ne esce da questa diatriba diplomatica?
R.
- La Cina terrà il punto di non voler trattare con gli americani e vorrà quindi trattare
bilateralmente con il Giappone, con la Corea e anche con le Filippine che hanno espresso
la loro preoccupazione, benché finora non toccate direttamente ma coinvolte nelle
diatriba della Isole Spratly. E la Cina vuole negoziati bilaterali in modo da far
pesare su ogni Paese la propria massa economica, demografica, geografica, culturale.
Gli altri, invece, vogliono conferenze multilaterali, in modo che la potenza solitaria
di Pechino venga diluita nel consenso multilaterale.