Centrafrica: escalation di violenze, all'Onu si discute l'ipotesi dell'intervento
Resta molto tesa la situazione in Centrafrica, colpita da violenze e scontri quotidiani
tra gli ex ribelli Seleka e gruppi di resistenza armata. In questo contesto, già la
prossima settimana l’Onu potrebbe approvare una bozza di risoluzione presentata da
Parigi, tesa a ristabilire l’ordine nel Paese, dopo l’annuncio francese dell’invio
di altri 800 soldati, a sostegno di quelli già presenti nel Paese. Sulle opzioni dell’intervento
militare e sugli esiti del cosiddetto “Patto repubblicano”, siglato lo scorso 7 novembre
per instaurare un nuovo corso politico, Antonella Pilia ha sentito Mauro
Garofalo, della Comunità di Sant’Egidio, presente alla firma del patto:
R. – Mi sembra
che proprio in queste ultime ore, nonostante la distanza iniziale dei vari membri
del Consiglio di sicurezza su quali politiche adottare, si stia convergendo verso
un intervento importante per il Paese. Ovviamente chi preme di più per questo intervento
è proprio la Francia; gli altri membri – Stati Uniti, Russia e Cina – hanno delle
posizioni diverse. Il dubbio che ancora permane riguarda la gestione dell’intervento
militare: se debba essere gestito dall’organizzazione internazionale locale, ovvero
l’Unione Africana, o in maniera globale; da dove debbano venire questi soldati, che
poi metteranno in sicurezza il Paese; e soprattutto chi pagherà. Questi, però, sono
dettagli che si stanno limando in questi giorni. Io credo che, alla fine, i militari
inviati supereranno le 5 mila unità (costituite dai 3.600 militari dei Paesi dell’Africa
Centrale e i 1.400 soldati francesi). Spero che questo si verifichi al più presto,
anche perché le autorità politiche del Centrafrica sono tutte d’accordo sul fatto
che ci sia bisogno di un intervento immediato e sostanzioso. E questo perché c’è da
ristabilire l’autorità dello Stato in tutta l’estensione del territorio centrafricano.
D. – La Comunità internazionale e numerose Ong denunciano gravi violazioni
dei diritti umani: stragi, violenze… Qual è la situazione attuale?
R. – Anzitutto
c’è un grande problema di comunicazione e di verifica delle informazioni. Quel che
è certo è che la popolazione è allo stremo e purtroppo molti centrafricani hanno dovuto
lasciare i loro villaggi e i loro campi. Quindi si profila un’emergenza alimentare
molto forte! Oltretutto la presenza degli ex ribelli della Seleka, un po’ ovunque
nelle province, ha creato la formazione di gruppi di resistenza, dei contro gruppi,
che alcuni chiamano anti-balaka e alcuni con altri nomi. Questi gruppi si stanno
ponendo in maniera molto violenta a difesa, ma anche in posizione di attacco, nei
confronti dei ribelli Seleka. Dunque c’è una situazione confusa, in cui il livello
di violenza cresce di giorno in giorno, e a cui bisogna porre assolutamente riparo.
D.
– Si parla anche di un conflitto etnico e religioso. Esiste questo rischio, secondo
lei?
R. – Tensioni etniche in Centrafrica ci sono sempre state, anche se non
a questo livello. Io direi, invece, che il Paese ha sempre avuto una tradizione di
tolleranza interreligiosa: musulmani, cristiani, animisti hanno sempre vissuto insieme
pacificamente, nonostante la miseria e le difficoltà politiche del Paese. Oggi la
situazione rischia di cambiare e questa, forse, rappresenta una delle azioni più urgenti
per la Comunità internazionale. Questo perché la popolazione ha percepito l’arrivo
di questi ribelli come un tentativo di islamizzazione del Paese. Non è stato esattamente
questo o almeno solo questo! Per pensare il futuro di questo Paese, bisogna partire
assolutamente dalla grande tradizione di tolleranza che ha sempre avuto.
D.
– Il Patto Repubblicano avrebbe potuto aiutare la Repubblica Centrafricana
ad uscire dalla guerra civile. Cosa non ha funzionato?
R. – Io direi che il
Patto Repubblicano sta aiutando il clima di colloquio politico. Non ci aspettavamo
certo che la firma di questo pattosignificasse il disarmo di tutti i ribelli.
È un contributo politico! Io penso che bisogna perseguire le due strade: lavorare
affinché finalmente – e questo non è mai successo – ci sia una classe politica in
grado di amministrare il Paese non come un predominio personale, ma come una democrazia,
ed è questo il Patto Repubblicano; e, dall’altra, ancora più urgente, mettere in sicurezza
il Paese. Quindi inviare truppe e mandar via chi non si è comportato bene per poi
ricostruire da zero la nazione. È un’occasione storica che, forse, non si è mai verificata
per questo Stato.
D. – Come vede il futuro del Centrafrica?
R. – Io
non riesco a evitare di essere ottimista: secondo me, a breve, si potrà cominciare
seriamente a lavorare per il futuro del Paese. In questi giorni ci sono sia responsabili
politici che della società civile – mi riferisco a membri del Consiglio nazionale
di transizione, alla Chiesa cattolica e ai leader delle comunità religiose – che stanno
provando a fare qualcosa per il Paese. Un piccolo segno di quello che speriamo sarà
il Centrafrica nel futuro: gente di buona volontà che crede nella coesistenza pacifica.