Ue: piccole e medie imprese riunite a Vilnius per trovare nuove ricette anticrisi
E' in corso la Settimana europea delle piccole e medie imprese (Pmi), che fino al
30 novembre porterà in 37 Paesi eventi, attività e campagne d'informazione su quello
che Unione Europea, Stati membri e autorità regionali offrono a sostegno delle Pmi.
Un tessuto economico importantissimo, che rappresenta il 99% dell’economia del Vecchio
continente. Di qui, la necessità di “guardare al futuro dell’Europa pensando in piccolo”,
come ricorda lo slogan dell’Assemblea generale delle Piccole e medie imprese, appena
conclusasi a Vilnius. Un appuntamento di primo piano, che ha portato nella capitale
lituana i rappresentanti di tutte le piccole e medie imprese europee. Presente anche
Daniel Calleja Crespo, direttore generale per Impresa ed Industria della Commissione
Europea. Il nostro inviato a Vilnius, Salvatore Sabatino, lo ha intervistato:
R. – Siamo a
un punto molto importante, perché l’Unione Europea ha fatto un’iniziativa politica
importantissima, lo "Small Business Act": dobbiamo pensare prima nel piccolo, dobbiamo
fare una politica per il sostegno delle PMI; dobbiamo favorire una politica per il
sostegno degli imprenditori; dobbiamo fare uno sforzo enorme per l’economia reale
e per la reindustrializzazione dell’Europa.
D. – Qual è la strategia in questo
momento in cui la crisi ha provocato molti danni all’economia europea? Dobbiamo dire
che l’economia europea, per la maggior parte, si basa proprio sulla piccola e media
impresa, siamo ben oltre il 90%...
R. – La conclusione è chiara: è impossibile
che l’Europa esca dalla crisi senza un’azione forte per il sostegno dell’economia
reale, per la semplificazione amministrativa, per favorire l’accesso al finanziamento,
per favorire l’accesso ai mercati e per favorire l’internship. Le piccole e
medie imprese sono state vittime della crisi. La grande sfida è fare delle Pmi i protagonisti
dell’uscita dalla crisi.
D. – Parlando però con gli attori delle piccole e
medie imprese presenti a Vilnius, molto spesso si sente dire: noi siamo piccoli, per
cui se andiamo in crisi nessuno ci ascolta. Cosa si può fare per dare maggior rappresentanza
alle piccole e medie imprese?
R. – La prima cosa è che questa riunione è l’espressione
della volontà dell’Unione Europea per fare una politica di sostegno alle piccole e
medie imprese. In questa riunione ci sono i rappresentanti di tutte le Pmi dell’Unione
Europea: 23 milioni di PMI in tutta l’Europa. Dobbiamo ascoltare meglio le loro preoccupazioni;
dobbiamo cercare insieme soluzioni ai loro problemi.
D. – Per l’internazionalizzazione
avete fatto delle cose concrete che sono le famose “missioni per lo sviluppo”: voi,
Commissione europea, prendete gli industriali e andate a far visita nei Paesi soprattutto
in via di sviluppo…
R. – Questa è un’iniziativa personale del vicepresidente
Tajani, è lui che ha lanciato questa iniziativa. Ha cominciato a fare le missioni
europee per la crescita, ha accompagnato in prima persona le imprese per favorire
l’esportazione, per favorire uno sviluppo economico più forte. Ha visitato 15 Paesi
e ha stipulato più di 60 accordi di collaborazione. E’ un atto politico europeo per
favorire l’uscita dalla crisi. Questa è un’iniziativa rivoluzionaria.
D. –
L’Europa è sicuramente un attore importantissimo a livello mondiale, anche perché
è fondata su principi come la solidarietà, come gli aspetti sociali di sviluppo. L’Europa
cosa può portare di valore aggiunto, per esempio in Asia ed in America Latina che
sono sicuramente economie importanti, ma che non hanno tutte le garanzie per i lavoratori,
così come le abbiamo noi nel Vecchio continente?
R. – L’Europa propone un modello
sociale. Dobbiamo progettare questo modello negli altri continenti. Il modello europeo
è un modello di solidarietà, è un modello del rispetto dei diritti fondamentali, è
un modello di rispetto alla dignità umana ed anche un modello “solidaristico”. Possiamo
lavorare insieme e fare insieme tantissime cose. Questo è il messaggio positivo di
Mission for Growth.
D. – Abbiamo tante cose da insegnare…
R. – Sì, abbiamo
tante cose da insegnare e da condividere con questi Paesi. Il messaggio europeo è
un messaggio positivo, non è un messaggio di imposizione ma è un messaggio per progettare
il valore della società europea ed il valore del modello europeo di società. Questo
è il messaggio fondamentale.
D. – Il messaggio della Chiesa quanto vi aiuta
in questo?
R. – Penso che il messaggio della Chiesa sia un messaggio convergente
con quello dell’Unione Europea, perché l’Unione Europea non è un continente “aggressivo”.
È un continente che vuole lavorare insieme.
La crisi economica si combatte
anche attraverso la speranza e la voglia di farcela. A sostenerlo con forza è Madi
Sharma, un’imprenditrice anglo-indiana oggi membro a Bruxelles del Comitato Europeo
economico e sociale. Donna affermata, dalla grande personalità, a Vilnius ha portato
la sua personale esperienza di vita, iniziata in maniera drammatica. Il nostro inviato
a Vilnius, Salvatore Sabatino, l’ha intervistata:
R. – I have
a strange past… At the age of 16, my dad told me that business… Ho uno strano passato…
Quando avevo 16 anni, il mio papà mi disse che il commercio non era giusto per una
donna. A 19 anni mi sono sposata. Il matrimonio l’ho organizzato io, perché i miei
genitori non erano d’accordo con la scelta del ragazzo. A 23 mi sono sentita dire
che ero troppo entusiasta del mio lavoro... Com’è possibile essere troppo entusiasti
di un lavoro? A 28 mi sono sentita dire, invece, che non sarei mai riuscita in alcuna
cosa che avessi voluto fare, perché ero una donna: questo me lo disse quello che ormai
è il mio ex-marito. A 29 anni è successo che il mio ex marito mi ha gettata a terra,
mi ha picchiata e per due giorni non sono riuscita ad alzarmi dal pavimento… Non ho
alcuna qualifica, non ho una preparazione professionale, non ho alcuna pratica… A
quel tempo ero un genitore single e vittima di violenza domestica: a questo
punto hai due scelte. O fai la vittima per il resto della tua vita, oppure farai la
differenza nella tua vita. E questo è quello che è successo a me: ho deciso che era
venuto il momento di cambiare non solo la mia vita ma, mentre diventavo più matura
e più forte, impegnarmi per aiutare e sostenere e cambiare la vita di altri.
D.
– E cosa è successo?
R. – It started in my kitchen, at home. I had no money… E’
cominciato tutto nella cucina di casa mia. Non avevo soldi e l’unica cosa che potevo
fare, era preparare un po’ di cibo nella mia cucina. Preparai un cibo indiano che
si chiama "Samosa" e che assomiglia ai calzoni di pizza. Sono uscita e ne ho venduti
quattro. Con il ricavato, sono tornata a casa e ne ho fatti otto, poi sono uscita,
ho venduto quegli otto, sono tornata e ne ho fatti 16 e così via finché, otto anni
dopo, ci siamo ritrovati a produrne 10 mila a settimana. Ci siamo spostati da casa
mia in due fabbriche, tutte e due in zone di riqualificazione e lo staff è passato
da un addetto – che ero io – 45 persone. Tutte le persone del mio staff erano persone
disoccupate da molto tempo, alle quali – come a me – la società aveva detto che erano
inutili. Io invece le ho accolte e loro mi hanno aiutata a far crescere l’organizzazione.
Poi ho fatto un errore: in Gran Bretagna ho trovato un amministratore incapace ed
è stato per me come se mi avessero picchiato una seconda volta, una sensazione spaventosa!
Mi sono chiesta: ma la vita continuerà a riservarmi queste esperienze? E ho applicato
una filosofia molto spicciola: quello che non ti uccide, ti fa diventare più forte.
Così, mi sono risollevata e ho iniziato ad importare e a vendere generi dall’India,
prodotti da donne e da artigiani, in Inghilterra. Abbiamo iniziato con una valigia
mezza piena, poi con una valigia piena, poi sono diventate tre, poi mezzo container,
poi uno… E questa attività è cresciuta, da allora, e ora conduco un’attività internazionale
e dai profitti che ne ricaviamo istituisco imprese sociali per aiutare altre persone
ad avviare le loro imprese: su scala molto ridotta, senza investire migliaia e migliaia
di euro, ma soltanto 50, 100 euro. Infatti, noi “aiutiamo” la gente, la “guidiamo”
e spesso è l’unica cosa di cui le persone hanno bisogno. La maggior parte delle persone
ha soltanto bisogno di sapere che c’è qualcuno che crede in loro. Io credo in tutti…
D.
– Ora, lei lavora in Europa: lei pensa che le istituzioni europee siano capaci di
ascoltare le richieste delle persone?
R. – I think the problem with the Eu
institutions is... I am… Credo che il problema delle istituzioni dell’Ue… Io sono
rappresentante nel Comitato economico e sociale europeo, e noi rappresentiamo la società
civile. Credo che le persone nelle Commissioni e nelle istituzioni europee abbiano
dimenticato come si fa ad ascoltare perché sono convinte di sapere già tutto. Invece,
ascoltare – semplicemente – le preoccupazioni delle persone, quello che le persone
vogliono – sarebbe sufficiente per trovare le soluzioni. Questo è quello che io faccio
nella mia attività. Anzi, io credo che il successo della mia attività si fondi sul
fatto che il mio staff ed io stessa, quando andiamo ad incontrare qualcuno, ci fermiamo
in ascolto: ma non ascoltiamo soltanto le parole, ma facciamo particolare attenzione
al messaggio sotteso. Tutti hanno problemi: il mio scopo è risolvere il tuo problema
nel modo a te più congeniale. In questo modo, insieme possiamo condurre attività migliori.
E questo è quello che sta accadendo, ma la ragione è che ascoltiamo…
D.
– Un’ultima domanda: la sua è una storia di speranza. E possibile combattere la crisi
economica attraverso la speranza?
R. – Yes: the hope is believing in yourself.
So, actually there is… Sì, ma la speranza consiste nel credere in te. Ora, noi
sappiamo una cosa: che c’è un alto potere che ci aiuta... Quell’alto potere sei tu,
la tua voglia di credere in te stesso.