L'Onu approva risoluzione sulla sicurezza dei giornalisti: aumentano le vittime tra
i reporter
La terza commissione dell'Assemblea Generale dell'Onu, quella sui diritti umani, ha
approvato per consenso una risoluzione sulla sicurezza dei giornalisti. La risoluzione
istituisce il 2 novembre come Giornata internazionale per porre fine all'impunità
dei crimini contro i giornalisti. Con 89 giornalisti uccisi mentre svolgevano il proprio
lavoro, il 2012 è stato l'anno con più morti dal 1995 e dall’inizio del 2013 già 52
reporter hanno perso la vita. Fausta Speranza ha intervistato Domenico
Affinito, vicepresidente di Reporter Senza Frontiere Italia:
R. – Intanto
è importante parlarne sempre, in maniera costante, cercare di seguire tutti i casi
che via via si verificano; ma soprattutto, poi, riuscire a costruire un percorso dando
centralità al Tribunale penale internazionale dell’Aja, per riuscire poi a perseguire
effettivamente chi si macchia di crimini gravi contro i giornalisti; quindi, cercare
di costruire un percorso, oltre che di tutele, anche di ammende per chi si macchia
di questi crimini.
D. – Il mondo è cambiato: ci sarebbero tante cose da dire
sull’evoluzione dei conflitti, che purtroppo permangono. Ma è sempre più difficile
fare il reporter di guerra …
R. – E’ complicatissimo, perché il mondo si è
polarizzato in maniera drammatica: tutti i conflitti sono conflitti sempre più asimmetrici
e sempre meno canonici, rispetto a quelli che conoscevamo un tempo. E questo ha cambiato
anche il volto dei conflitti stessi. I giornalisti vengono rapiti, cosa che prima
non avveniva: vengono visti come parte in causa, cosa che – anche questa – prima non
avveniva … Quindi, il rischio è sempre maggiore. Poi c’è il rischio classico di essere
coinvolti, invece, e di morire in situazioni di guerra conclamata o di tafferugli
o di sommovimenti sociali.
D. – Ovviamente il valore della vita è il primo
in assoluto. Ma poi, magari, ci sono anche altri aspetti da valutare. Per esempio,
la possibilità di fare il proprio lavoro bene e di riuscire a raccontare: perché poi,
nei conflitti, c’è anche la guerra della propaganda. Penso alla Siria e a quanto sia
difficile oggi su un terreno così frammentato …
R. – Il freelance può essere
spinto a fare cose in più, a cedere un po’, rispetto alla propria sicurezza, pur di
portare a casa il lavoro, rispetto ad un assunto. Sì: è sempre più complicato riuscire
a fare quello che il giornalista dovrebbe fare, cioè la verifica storiografica delle
fonti. Questo si è complicato ulteriormente con la velocità dell’informazione e con
le nuove tecnologie che diffondono in maniera molto più capillare e ramificata le
informazioni. Le informazioni, quindi, arrivano da tantissime parti. Si può incorrere
in errori banali: l’altro giorno, un grosso sito di informazioni italiano di uno dei
principali quotidiani ha pubblicato il video di un social network dicendo: “Questa
è la battaglia di Aleppo di sabato scorso”, e il video, invece, era di ottobre, quindi
di un mese e mezzo fa; però, era stato pubblicato da questo social network come un
video nuovo. Poi ci sono anche errori più gravi nei quali si può incorrere,
creando anche gravi danni alle persone o ai rapporti tra gli Stati. Verificare le
fonti sta diventando sempre più difficile, anche perché è sempre più difficile recarsi
sul posto perché è aumentata tantissimo la velocità. Questa è una quota importante
del lavoro dei giornalisti, e sta diventando sempre più importante.