Gioco d'azzardo: un fenomeno in aumento, impoverisce famiglie e società
Oltre un miliardo di euro: a tanto è ammontata la spesa per il gioco d’azzardo nel
2012, nella sola provincia di Roma. Risorse dirottate dai consumi ordinari di famiglie
e singoli verso un consumo patologico, che non solo non produce crescita ma incide
negativamente sulle casse dello Stato. Il fenomeno è stato al centro, sabato scorso,
del convegno “Vite in gioco ai tempi della crisi”, organizzato dalla diocesi di Roma
alla Lateranense, al quale è intervenuto anche il sociologo Maurizio Fiasco.
Antonella Pilia lo ha intervistato:
R. – Per capitale
sociale familiare, si intende il complesso del tempo, delle occasioni, delle opportunità
che le persone che compongono una famiglia si danno per scambiarsi relazioni significative:
il tempo trascorso con i figli, per il tempo libero, per la cura, per l’educazione,
per il culto. Il capitale sociale generale è la capacità di una società di sviluppare
comportamenti di aiuto, comportamenti solidaristici, di mutualità. Ecco: il gioco
d’azzardo distrugge sia il capitale primario, quello delle famiglie, sia quello secondario,
complessivamente della società, e incide – attraverso queste due devastazioni – sulla
crescita economica, come ci spiegano le scuole degli economisti più illuminati. Cioè:
non si può considerare una questione separata il destino, la crescita, la possibilità
dello sviluppo economico di un Paese, dalla disponibilità di capitale sociale e di
capitale sociale familiare. Il gioco d’azzardo è un’ipoteca sullo sviluppo e c’è da
dire che è anche un’ipoteca sui conti pubblici. Infatti, invece di contribuire alle
entrate dello Stato, contribuisce alla riduzione delle entrate dello Stato. Il motivo
è abbastanza semplice: se invece di spendere in Italia 90 miliardi per il gioco, gli
italiani impiegassero questa quota importante – circa il 10-12 per cento del loro
budget familiare per consumi normali, le entrate che lo Stato ricaverebbe dalle imposte
ordinarie sarebbero enormemente superiori a quelle che ricava dal gioco.
D.
– Pensa che le normative attuali siano sufficienti, oppure c’è bisogno di interventi
più incisivi?
R. – Le normative attuali consentono di porre fine a questa devastazione.
È inutile cercare l’alibi di una nuova legge, invocare che non si possa intervenire
perché mancano le norme. Ci sono almeno cinque articoli della Costituzione che vengono
violati da questa inflazione del gioco d’azzardo: il diritto alla salute, la tutela
del risparmio, la tutela della famiglia, il fine sociale dell’attività produttiva
e così via. C’è un problema di tutela della persona, e c’è anche un problema di tutela
positiva dell’economia. Una legge, sì, potrà essere utile purché non sia l’alibi per
rinviare provvedimenti che si possono prendere in via ordinaria già adesso.
D.
– Quindi, dov’è che si inceppa questo meccanismo?
R. – Nella reticenza delle
istituzioni, nella reticenza anche – dobbiamo dirlo – delle classi colte che su questo
tema scrivono, si pronunciano, commentano ben poco. Sono pochissimi gli economisti
che hanno visto, per esempio, l’impatto che il gioco ha sulla società e sull’economia;
molti clinici pensano che sia un problema di nicchia, e non un problema di massa …
Questa reticenza alimenta scelte miopi e non responsabili.
D. – La crescita
del fenomeno del gioco d’azzardo era stata già prevista dalle fondazioni anti-usura
promosse dalla Conferenza episcopale italiana…
R. - Si era visto già alla fine
degli anni Novanta che stava cambiando l’atteggiamento dello Stato e che si sarebbe
forse verificato un certo fenomeno: quindi, si dipingeva uno scenario. Questo scenario
si è confermato, ma al di là delle peggiori previsioni: nel senso che non vi è stata
alcuna remora – che invece c’è in altri Stati – alla crescita e all’espansione abnorme
di questo settore. Ecco: non è mai troppo tardi per rifare i conti davvero e vedere
un po’, tra costi e risultati, tra danni e benefici, da quale parte penda la bilancia.