Rotelli (Intersos): l'Italia non più protagonista dell'aiuto umanitario. Pistelli:
il mondo cerca nuovi equilibri
Dalla Somalia al Sudan, dall’Afghanistan al Libano fino all’Iraq, l’intervento umanitario
italiano nelle crisi internazionali è stato al centro del tavolo di lavoro promosso
da Intersos, Associazione con ventennale esperienza sul campo e mondo delle istituzioni.
Federica Baioni ha intervistato il segretario generale di Intersos, Marco
Rotelli,e il viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli:
R. – L’Italia,
in questo momento, è uscita dall’aiuto umanitario, non ha approfondito la tematica
in maniera sufficiente e soprattutto ha abdicato al fatto di considerarlo un principio
da proteggere e da tutelare. Nel momento in cui si riapproprierà di questo, l’Italia,
anche con un’aggiunta di risorse evidentemente, riuscirà a dichiararsi e a essere
una protagonista dell’aiuto umanitario. In questo momento, non lo è.
D. – All’interno
del suo intervento, viceministro Pistelli, lei ha detto “è stato un ventennio non
vissuto in laboratorio, ma sul campo”. Ci spiega meglio?
R. – Dico che quando
vengono rimproverate alla politica carenze, contraddizioni o difficoltà, tutto è vero
e io accetto questo complessivo rimprovero, che avviene nella politica internazionale,
europea e, dunque, anche italiana. Mi permetto di dire, però, che il mondo del pre
’89 era un mondo che non ci piaceva, ma era un mondo più semplice. Non ho rimpianti,
non ho nostalgie: Dio non voglia. Ma era un mondo più semplice. Il mondo del post-’89
è un mondo che cerca un ordine che non ha ancora trovato, dove facciamo i conti con
conflitti non più tradizionali e interstatuali, ma con conflitti a matrice etnica
e religiosa, dove è cambiato il mestiere di alcune delle organizzazioni che, fino
a ieri, avevano un altro mandato – penso a come sia cambiato il ruolo della Nato in
questi 20 anni – o penso a come l’Unione Europea stia facendo crescere dentro di sé
un nuovo mestiere, che è quello della politica estera e della sicurezza comune. E
quindi, chiedere alla politica di fare questo grande salto, non tenendo conto di queste
difficoltà, è chiedergli un po’ l’impossibile. Aggiungo che anche questo cammino sta
cambiando alcuni concetti, alcuni principi importanti dell’intervento nelle crisi
internazionali. Io scommetto molto sul principio della responsabilità di proteggere
che, da 15 anni ormai, non ha fatto capolino ma è dentro l’agenda delle Nazioni Unite.
Ma anche per mettere d’accordo su cosa questo voglia dire, e su come questo concetto
possa essere esercitato senza doppi standard, c’è ancora un cammino lungo da fare.
Non dico che chiedo pazienza per assolvere genericamente la politica, ma chiedo a
una platea qualificata come questa, e in generale all’opinione pubblica, di capire
che l’ordine internazionale non si crea da un giorno all’altro. Abbiamo tutti una
responsabilità. Noi ce la stiamo mettendo tutta, perché sia un ordine fondato su basi
di rispetto, di giustizia e non di doppi standard nei confronti di alcuni Paesi, trattati
in modo diverso da altri.
D. – Cosa chiede invece ai media nazionali? Manca
una maggiore attenzione sul fronte internazionale?
R. – Sì, manca in generale
un’attenzione. Basti vedere il numero di pagine dedicate alle questioni internazionali
sui quotidiani o vedere come sui mezzi televisivi, che si affidano alle immagini,
il mondo parla di sé soltanto durante le crisi e durante le guerre. Quello che manca
in questo Paese, ma non da oggi, è l’abitudine ad avere una conversazione strutturata
sulla politica estera, sulla proiezione internazionale del Paese. Per cui, oggi è
una crisi, domani un’altra, ma sono spot, sono bolle, sono fasci di luce che illuminano
oggi un pezzo di mondo e poi un altro, con un’enorme difficoltà invece – ripeto –
ad avere una conversazione organica e strutturata sulla politica estera del Paese.