Il 22 novembre di 50 anni fa l'assassinio di John F. Kennedy: il ricordo dell'America
L’America ha ricordato ieri John Fitzgerald Kennedy, nel giorno del cinquantesimo
anniversario della sua morte. Tutti gli occhi sono stati puntati su Dallas, in Texas,
dove il 22 novembre 1963 il 35.esimo presidente degli Stati Uniti fu assassinato e
dove si è tenuta una cerimonia in suo onore. Da New York, Elena Molinari:
Solo 5.000
persone sono state ammesse alle celebrazioni di Dallas per il cinquantenario delle
morte di Kennedy in Plaza Dealey, dove il presidente è stato ucciso, ma l’evento è
stato trasmesso dalle televisioni di mezzo mondo. Il sindaco della città, Mike Rawlings,
ha tenuto un breve discorso, mentre aerei militari hanno sorvolato la piazza. Poi
le campane della città hanno suonato a morto. Ben di più sono le personalità e i cittadini
che in queste ore, nonostante la pioggia, si stanno recando al cimitero di Arlington,
in Virginia, per rendere omaggio alla tomba dell’ex presidente. Fra questi anche Barack
e Michelle Obama, insieme a Bill ed Hillary Clinton. In tutti gli uffici pubblici
le bandiere sono a mezz’asta, come disposto dal presidente, che nel ricordare Jfk
ha sottolineato "l’impronta indelebile da lui lasciata sulla storia americana". “Mezzo
secolo fa, l’America ha pianto per la perdita di uno straordinario servitore pubblico
– ha detto Obama – con un’ampia visione e un altissimo ma sobrio idealismo, il presidente
Kennedy ha chiamato una generazione al servizio e convocato una nazione alla grandezza.
Celebriamo
"l'impronta indelebile di Kennedy sulla storia americana": così, dunque, si è pronunciato
Barack Obama nel giorno del 50.mo anniversario dell’uccisione di John Fitzgerald Kennedy.
Obama ha sottolineato che “la visione di Kennedy per gli Stati Uniti e per il mondo
vive ancora oggi nelle generazioni che ha ispirato”. Per una riflessione su queste
parole, Fausta Speranza ha intervistato Daniele De Luca, docente di
storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:
R. – Diciamo
che, nella storia americana, dopo la morte del presidente Kennedy e quindi la morte
della speranza, dell’innocenza, gli americani e molti europei sono stati alla ricerca
di un nuovo Kennedy e di quello che avrebbe rappresentato. Obama non avrebbe mai potuto
dire una cosa diversa da quello che ha detto di Kennedy anche perché il presidente
Obama è forse quello che nella storia è stato maggiormente identificato come continuatore
della vita e degli ideali di Kennedy. Ideali che, però, alla fine – diciamolo chiaramente
– sono stati realizzati non da lui ma dal suo successore, e cioè dal presidente Johnson:
molti, però, dimenticano questo piccolissimo particolare.
D. – Ricordiamo questi
ideali?
R. – Gli ideali della "nuova frontiera" si sono trasformati nella "grande
società" johnsoniana, cioè i diritti civili per tutti, la difesa della sicurezza nazionale,
nel tentativo però sempre di non ledere i diritti dei singoli all’interno degli Stati
Uniti. Ciò che Kennedy ha detto, nel suo famoso discorso - e cioè di non pensare a
quello che l’America può fare per i cittadini ma l'opposto - é più che altro pensare
alla difesa individuale dei cittadini. E questa è una cosa che è stata rilanciata
da Kennedy ma poi sviluppata ed approvata dal presidente Johnson, soprattutto con
la legge sui diritti civili e con il diritto di voto ai neri.
D. – Obama ha
reso omaggio alla tomba di Kennedy, nei giorni scorsi, e nel giorno stesso dell’anniversario,
però, ha scelto di non essere a Dallas, dove quest’anno si celebra il 50.mo anniversario
della morte, mentre ha scelto di incontrare rappresentanti dell’associazione di volontariato
“Peace Corps”. Vogliamo commentare questa scelta?
R. – Questo è stato forse
l’organismo di volontari per la diffusione del benessere nel mondo che rappresenta
il segno indelebile, la vera eredità del presidente Kennedy: far sì che i giovani
prendessero magari un anno sabatico impegnandosi per almeno un anno per aiutare le
popolazioni in difficoltà. Diciamo che quello che fanno le ong oggi sono un po’ le
emanazioni dei discorsi pronunciati dal presidente Kennedy.
D. – Se è vero
che Kennedy ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del dopo-John Fitzgerald
Kennedy, è anche vero che lui stesso era in continuità con la Storia americana, lui
stesso era un prodotto della Storia americana …
R. – Assolutamente sì! Lui
non è uscito dai canoni della Storia americana, né in politica interna né in politica
estera; soprattutto in politica estera. Non dimentichiamo che il presidente Kennedy
non è stato quello che definiamo un progressista in politica estera, anzi: era un
cold warrior, un convinto “guerriero” della guerra fredda che in più occasioni – ricordo
il Vietnam, ricordo Cuba – ha saputo fronteggiare fermamente l’Unione Sovietica come
un qualsiasi altro presidente, soprattutto come il suo predecessore, il generale Eisenhower,
che sicuramente veniva da una tradizione politica molto diversa da quella di Kennedy,
in quanto repubblicano.