Conferenza in Vaticano sull'Alzheimer. Il dott. Carbone: fondamentale sostenere le
famiglie dei malati
Secondo giorno di lavori, ieri, alla Conferenza internazionale del Pontifico Consiglio
per gli Operatori Sanitari, in corso fino ad oggi in Vaticano. “La Chiesa al servizio
della persona anziana malata: la cura delle persone affette da patologie neurodegenerative”,
questo il titolo della riunione che vede la partecipazione di numerosi esperti di
tutto il mondo. Debora Donnini ha intervistato il prof. Gabriele Carbone,
responsabile del Centro Demenze–Unità Alzheimer presso l’Italian Hospital Group
a Guidonia:
R. – Sicuramente,
tra le varie forme di demenza la malattia di Alzheimer è quella più frequente nell’anziano.
Nel mondo ne sono colpiti almeno 35-36 milioni; in Europa 7 milioni e mezzo. Sono
cifre, queste, destinate ad aumentare poiché la malattia di Alzheimer è strettamente
correlata all’età: aumentando il numero di anni di vita più facilmente si può sviluppare
questo tipo di demenza. In Italia sono oltre un milione i malati con demenza e almeno
la metà è affetta da malattia di Alzheimer. Si è valutato che, nel mondo, viene fatta
una nuova diagnosi di demenza ogni quattro secondi. Questo ci fa capire perché questa
patologia è stata chiamata l’epidemia silente del terzo millennio e, addirittura,
adesso si comincia a parlare di pandemia del terzo millennio per i numeri estremamente
alti che sono - come dicevo prima - destinati a raddoppiare e addirittura a triplicare
da qui al 2050.
D. - Si sa qual è la causa della malattia di Alzheimer?
R.
- No. Ancora oggi la causa, in maniera precisa, non è stata identificata. Le ipotesi
essenzialmente sono tre: si pensa ad una carenza di acetilcolina, che è l’ipotesi
più antica; più recentemente è stata, invece, chiamata in causa la deposizione di
una sostanza, che è la sostanza amiloide e di un’altra sostanza, che è la proteina
Tau. La malattia è stata definita una malattia da misfolding proteico, cioè da alterata
frammentazione di alcune proteine. In una piccola percentuale di casi c’è una ereditarietà,
ma la maggior parte sono considerate forme sporadiche. In realtà è una malattia multifattoriale:
insieme con la predisposizione genetica, devono poi intervenire una serie di fattori
ambientali perché la malattia si verifichi. Oggi si avvicina sempre di più la malattia
di Alzheimer, come fattore di rischio, ad altre forme di demenza, come le demenze
vascolari. Tant’è che l’ipertensione, il diabete, l’ipercolesterolemia sono considerati
fattori di rischio per la malattia di Alzheimer.
D. - Come aiutare, da un
punto di vista medico, questi pazienti?
R. - Ci sono farmaci, ma sono farmaci
sintomatici. E’ ovvio che prima viene iniziata la terapia e più ci sono possibilità
che questi farmaci abbiano effetto. Accanto a questi farmaci sintomatici, c’è molto
spazio per gli interventi riabilitativi: non nel senso di una restituzione alla salute,
ma sicuramente nell’abilitare nuovamente il paziente in attività che lui sta perdendo.
D. - Quanto è importante per questi malati sentire l’affetto della famiglia,
visto che questa è una malattia che poi, di fatto, coinvolge la famiglia?
R.
- E’ il luogo che io ritengo migliore in cui questo malato può stare, perché la patologia
comporta disturbi cognitivi, disturbi di memoria, disturbi di orientamento. Quindi,
immaginate il malato che viene tolto dai suoi affetti per essere portato anche nella
migliore struttura del mondo, ma a lui estranea… E’ importante sostenere la famiglia,
perché la famiglia conosce meglio di tutti il malato. E’ importante sostenerla anche
perché la malattia è lunga: può avere decorsi anche fino a 15 anni. La famiglia ha
bisogno di essere sostenuta sia con attività di formazione, ma anche con supporto
psicologico.
D. - Ma oggi lo Stato supporta le famiglie?
R. - Purtroppo
ancora molto poco, ma non in Italia, nel mondo. A livello di Servizi Sanitari Nazionali
c’è una situazione cosiddetta “a macchia di leopardo”: ci sono regioni, asl che sono
molto bene organizzate e hanno servizi integrati per questi malati, in modo da poterli
seguire in qualsiasi fase della loro patologia. Qui nel Lazio, a Guidonia, dove io
lavoro, siamo riusciti a creare un sistema integrato di servizi, che permette il ricovero
nelle fasi di scompenso della malattia e la possibilità di seguirli a domicilio per
affiancare, appunto, la famiglia nel processo assistenziale.