Mons. Migliore: tutela clima è dovere morale di ogni Stato non solo un fatto di scienza
Non individuare le colpe, ma soprattutto le capacità migliori per intervenire secondo
principi di “equità e responsabilità comune ma differenziata”. È questo che il nunzio
apostolico a Varsavia, l’arcivescovo Celestino Migliore, chiede agli Stati riuniti
da giorni nella capitale polacca per il 19.mo vertice mondiale sui cambiamenti climatici.
Il presule è intervenuto alla Conferenza Cisde-Caritas Internationalis, organizzata
per ieri ed oggi a Varsavia, con il titolo “Gli attori religiosi impegnati per la
giustizia climatica”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Verrebbe
da dire con un facile gioco di parole che nella comunità internazionale impegnata
a proteggere il clima, il clima non sia dei migliori. Ed è quello che in sostanza
rileva mons. Migliore quando, a un certo punto del suo intervento, afferma che il
recente Rapporto Ipcc sull’effetto serra, “fondato su dati meno catastrofici che nel
passato” – e dunque con un approccio “meno allarmistico” e quindi “meno ideologico”
– “offre un clima migliore per il dibattito e la decisione”. Tuttavia, se il bisogno
di intervenire in materia di inquinamento è indubbio, i modi per farlo sono ancora
oggetto di contrasti internazionali.
Il mondo, ricorda all’inizio il presule,
ha preso coscienza degli “effetti devastanti dei gas serra” al Summit della terra
di Rio nel 1997. Eppure, una ventina di vertici mondiali sul clima, nel cercare tra
mille difficoltà di stilare regole condivise sulle emissioni dei gas inquinanti, hanno
ottenuto nel complesso risultati insoddisfacenti. Oggi, riconosce mons. Migliore,
il fronte della discussione è attestato sui “principi di equità e responsabilità comune
ma differenziata”, che oppone i Paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo.
La questione, riflette il nunzio apostolico a Varsavia, ruota appunto attorno alla
parola “equità”. Tutti la usano, “ma non sempre intendendo la stessa cosa”. Certo,
osserva, non potrà significare semplicemente “uguaglianza”. Per esempio, afferma mons.
Migliore, “se è vero che ogni individuo, ogni comunità regionale o nazionale ha uguali
diritti nell’usufruire delle risorse atmosferiche, avrà anche uguali doveri di proteggerle".
Pertanto, gli indici di emissioni dovranno "essere proporzionati alla popolazione
e alla quantità di emissione pro capite”. Inoltre, prosegue, “i livelli di emissione
dovranno fluttuare in proporzione ai livelli di prodotto interno lordo di un dato
Paese”, mentre “l’abbattimento delle emissioni dovrà tener conto anche della quantità
di emissioni realizzata da un determinato Paese nel recente passato”. Ed è qui, asserisce
il presule, che “entra in gioco” il principio per cui “chi inquina paga proporzionalmente,
cosicché nessun Paese rimanga penalizzato”.
Nel ribadire che la Santa Sede
è presente nel consesso internazionale – e quindi partecipa alla redazione di un nuovo
Trattato sul clima, proprio perché ritiene che agire di fronte alla crisi ambientale
sia un “imperativo etico” – mons. Migliore esprime pure una convinzione: il nuovo
accordo, asserisce, “non potrà prendere in considerazione solo le colpe, le responsabilità
o le omissioni accumulate nel passato, ma piuttosto la capacità reale di ogni Paese,
di ogni economia attuale di passare all’azione per superare la questione”. Ciò potrà
avvenire se, al fondo, verrà superata la visione secondo la quale scienza e tecnica
siano sufficienti “per risolvere il problema ecologico”. Non è così, ripete mons.
Migliore. “Le situazioni di crisi che l'umanità sta ora attraversando – sostiene –
sono di carattere economico, alimentare, ambientale e sociale, ma nel fondo sono anche
di carattere morale” e “obbligano a un modo di vivere caratterizzato dalla sobrietà
e dalla solidarietà, con nuove regole e modalità d'impegno, appoggiandosi con fiducia
e coraggio sulle esperienze positive che sono già state realizzate e rifiutando con
decisione quelle negative. Solo così la crisi attuale si trasforma in occasione di
discernimento e di nuovo sviluppo”.
L’esempio può venire dai grandi Santi del
passato – come Benedetto e Francesco – e insieme dai “Papi di oggi”, specie nel modo
in cui si sono riferiti all’ambiente. Tutti costoro, ricorda il nunzio apostolico
a Varsavia “non parlano di una natura astratta, ma di creazione: dono di Dio da accogliere,
coltivare ed elevare. Non parlano di lotta, né di difesa che sempre suppone un nemico:
una volta il nemico era la natura imprevedibile e talora crudele; oggi il nemico sarebbe
l’uomo che sfrutta e inquina. Essi parlano di custodire e promuovere”.