Hollande in Israele: mettere sotto controllo gli impianti nucleri iraniani
Il presidente Hollande, in visita ufficiale in Israele ha annunciato che la Francia
“non cederà mai sul programma nucleare iraniano”, dettando poi le quattro condizioni
indispensabili per arrivare ad un accordo intermedio: mettere sotto controllo internazionale
tutti gli impianti nucleari iraniani, sospendere l’arricchimento dell’uranio, ridurre
gli stock esistenti e infine interrompere la costruzione della centrale di Arak. Dichiarazioni
che rinsaldano l’alleanza con lo Stato ebraico e mettono in discussione i già complessi
rapporti tra Parigi e Teheran. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Antonello
Sacchetti, esperto di politica iraniana e autore di un blog completamente dedicato
all’Iran:
R. – Una presa
di posizione in coerenza con quanto fatto la scorsa settimana a Ginevra, perché c’è
stata una posizione veramente “last minute”, quando il Ministro degli esteri Fabius
ha fatto saltare un accordo che era già scritto e stava per essere praticamente presentato
alla stampa. È sicuramente una mossa strategica, una mossa tattica, che però rischia
veramente di far tornare indietro una trattativa che era ben avviata.
D. –
Una mossa strategica, una mossa tattica, da che punto di vista?
R. – La Francia
si sta posizionando come interlocutrice privilegiata delle monarchie sunnite, questo
mi pare evidente anche a fronte di alcuni interessi economici molto forti. Parigi
ha avviato un accordo con l’Arabia Saudita per lo sviluppo nucleare e ha delle commesse
militari molto forti, molto importanti, con Riyad e con gli Emirati Arabi. Quindi,
in questo senso un accordo di pace che stabilizzerebbe i rapporti tra Occidente e
Iran, non rientra negli interessi nella Francia in questo momento.
D. – Però,
Parigi ha sempre ospitato la dissidenza iraniana, così come ha avuto sempre un rapporto
molto stretto con la popolazione iraniana. Cosa accadrà ora in seno a questi rapporti?
R.
– Storicamente, la Francia ha un rapporto complesso con l’Iran proprio dal punto di
vista culturale. Ricordo, che in passato è stata alleata – fu firmato un trattato
storico agli inizi dell’800 con la Persia – ma la Francia si è sempre mossa con molta
autonomia nel campo mediorientale. Ricordo anche che nel 2003 Parigi fu espressamente
contraria all’intervento contro Saddam Hussein, e in questo momento va contro gli
Stati Uniti in un’altra direzione: non ha accettato il dietrofront americano riguardo
la Siria. In Francia, la Siria sostiene e sosteneva apertamente il campo sunnita.
I rapporti con l’Iran sono complessi, anche perché in passato ai tempi dello Scià,
per esempio, la Francia ha fornito tecnologia al Paese. Tutto questo è piuttosto strano,
nel senso che la Francia pur facendo parte del gruppo 5+1, sulla trattativa del nucleare
è stata sempre piuttosto latitante. E' sembrato quasi che non gliene importasse più
di tanto di tutto questo.
D. – Sul fronte interno, il presidente Rohani che
ha proposto di fatto una politica della mano tesa non può certo accettare uno stop
totale del programma nucleare. Quale potrebbe essere il giusto compromesso per accontentare
anche le correnti interne iraniane?
R. – Si era arrivati al giusto compromesso
– perché il punto del contendere, che è quello della centrale ad "acqua pesante" di
Arak, è veramente un pretesto – nel senso che tutte le altre condizioni, compreso
lo stop all’arricchimento dell’uranio del 20%, che mi sembra sia la cosa più importante,
erano state accettate dall’Iran in cambio di un alleggerimento delle sanzioni nei
primi sei mesi e di un riconoscimento più o meno esplicito del proprio diritto di
arricchire il nucleare. La marcia indietro su una questione come questa negli ultimissimi
minuti del negoziato, la spada di Damocle americana relativa al nuovo pacchetto di
sanzioni che in Senato la maggioranza repubblicana potrebbe approvare, sono elementi
che mettono sicuramente fuori gioco o comunque in grave difficoltà il fronte di Rohani.
Non dimentichiamoci che lo stesso presidente ha sempre detto fin dall’inizio: “La
finestra è aperta, ma non è aperta per sempre”. Ma questa più che una minaccia è un
ammonimento che riguarda anche la propria posizione interna. C'è un candidato che
si è presentato dicendo “abbiamo la necessità, apriamoci e parliamo” e poi, dopo che
di fatto l’accordo era ad un passo, a un centimetro, si torna indietro e si ricomincia
da capo. Non è un buon segno, non è un atto di forza anche per lo stesso presidente.
Tra l’altro questa mattina è uscito un tweet della Guida suprema, che fa un
elenco di tutti coloro che si sono fidati degli Stati Uniti e che hanno fatto una
brutta fine. Tra l'altro, sono inseriti anche lo Scià, Gheddafi... Una sorta di avvertimento,
come a dire: “Ecco che cosa accade a fidarsi di Washington”.