2013-11-16 14:49:59

Libia: oltre 40 morti negli scontri tra miliziani e civili, nuove violenze a Tripoli


Nuovi scontri a Tripoli, in Libia, tra fazioni rivali dopo quelli di venerdì che hanno provocato la morte di 40 persone e il ferimento di altre 460. All’origine, una protesta pacifica della popolazione per dire no alla presenza di queste frange armate nel Paese in particolare quella di Misurata che controlla il quartiere di Gharghur. Immediata la condanna dell'Ue. Il governo libico ha chiesto il cessate il fuoco immediato e deciso tra l’altro di tagliare i fondi a diversi gruppi jihadisti. Al microfono di Cecilia Seppia l'analisi di Bernard Selwàn Elkourì, vicedirettore dell’Osservatorio geopolitico mediorientale di Roma:RealAudioMP3

R. - Quello che è accaduto è forse l’episodio più violento in termini di conflitto tra le milizie armate ed i civili, che chiedono il loro disarmo dalla caduta del regime di Gheddafi, nel 2011. E’ ovvio che ciò non desta stupore per chi osserva gli sviluppi in Libia. Si tratta sicuramente di un episodio gravissimo da un punto di vista umano - contando il numero di morti - ma dal punto di vista politico ormai è chiaro che il braccio di ferro, non tanto tra il governo e le milizie, o il parlamento e le milizie - in quanto in quel caso ci sono diverse collusioni - ma tra la popolazione civile e la presenza di queste milizie sia ormai arrivato al culmine. È ovvio che gli stessi cittadini che sono scesi in piazza due anni fa, per chiedere la caduta di un regime e l’avvio di una fase democratica, si vedono oggi stretti in una nuova morsa forse peggiore di quella che c’era durante gli anni del regime, che si traduce appunto in milizie.

D. - Chi sono questi gruppi, come agiscono, si sono rafforzati dopo la caduta di Gheddafi?

R. - Questi gruppi di ispirazione jiadista o di ispirazione qaedista sono riemersi - è ovvio che le sacche qaediste sono sempre esistite in Libia - ma soprattutto si sono rafforzati grazie alle armi che si trovavano nei depositi delle forze armate di Gheddafi. Parliamo in particolar modo dell’area di Bengasi, Sirte e Derna.

D. - Tra l’altro c’è stata proprio una stretta del governo libico che ha annunciato di voler bloccare entro gennaio 2014 qualsiasi sostegno materiale ed economico ad alcune di queste milizie. Però, forse una soluzione potrebbe essere quella di integrare queste frange nell’esercito…

R. - Assolutamente. Questa è la politica che sta portando avanti non soltanto il governo libico ma è un’iniziativa sostenuta da buona parte dei Paesi europei e l’Italia in questo sta giocando un ruolo molto importante. Mi riferisco, appunto, alla formazione e all’addestramento dei militari libici che poi andranno a ricoprire un ruolo istituzionale all’interno degli apparati di sicurezza e militari in Libia. È ovvio che è una politica difficile da attuare e perché? Perché certo queste milizie sono composte dagli stessi ribelli che hanno contribuito alla caduta di Gheddafi e per questo godono di un certo rispetto all’interno dell’opinione pubblica; ma quel rispetto è stato intaccato da diverse iniziative, da scelte errate da un punto di vista tattico-strategico da parte di queste milizie agli occhi dell’opinione pubblica, perché loro hanno continuato ad usare la forza, le armi, rifiutando di integrarsi nei vari apparati dello Stato.

D. - La Libia è chiaro non può considerarsi un Paese completamente pacificato. C’è una situazione di caos latente che emerge, come nel caso di ieri, con questi episodi drammatici e che si riflette spesso anche sul settore economico; penso alla protesta dei berberi che blocca da giorni la distribuzione di gas e di petrolio nell’impianto di Mellitah gestito dall’Eni…

R. - Ciò che preoccupa maggiormente - oltre alla questione umanitaria legata agli episodi di violenza ed al grande ed incontrollato flusso di immigrati clandestini - è ovviamente un’emergenza dal punto di vista economico per il Paese. Questo significa non soltanto una crisi di approvvigionamenti per i Paesi europei, ma significa anche una grave crisi sul bilancio dello Stato libico e sul funzionamento stesso della macchina dello Stato, quindi sul pagamento di tutti coloro che dipendono e lavorano per lo Stato.







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