Il Pontefice ai pellegrini di Guadalupe: non chiudersi in se stessi, la Chiesa sia
in stato permanente di missione
La Chiesa sia “in stato permanente di missione”. E’ quanto afferma Papa Francesco
in un videomessaggio indirizzato ai partecipanti al pellegrinaggio-incontro promosso
al Santuario di Guadalupe in Messico, in corso fino al 19 novembre. L’evento è promosso
dalla Pontificia Commissione per l’America Latina insieme ai Cavalieri di Colombo
e all’Istituto Superiore di Studi di Guadalupe. Il Papa sottolinea che l’attività
pastorale deve essere rivolta a tutti, senza imporre obblighi e rimproveri, e mette
in guardia dal clericalismo che è un ostacolo allo sviluppo della responsabilità cristiana
del laicato. Il servizio di Alessandro Gisotti:
La Chiesa
sia “in stato permanente di missione” così che “tutta l’attività abituale delle Chiese
particolari abbia un carattere missionario”. E’ l’esortazione di Papa Francesco ai
pellegrini riuniti al Santuario di Guadalupe per un incontro sulla nuova evangelizzazione
nel Continente latinoamericano. Il Papa sottolinea che “l’uscita missionaria, più
che un’attività tra altre è un paradigma” di “tutta l’azione pastorale”. E osserva
che “l’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante” che “suppone un uscire
da se stessi, un camminare e seminare sempre di nuovo, sempre più in là”:
“Es
vital para la Iglesia no encerrarse…” “E’ vitale per la Chiesa non chiudersi
– avverte – non sentirsi già soddisfatta e sicura con quel che ha raggiunto”. Se succede
questo, rileva, “la Chiesa si ammala” di “abbondanza immaginaria, di abbondanza superflua,
in certo modo fa indigestione e si debilita”. E’ necessario, esorta, “uscire
dalla propria comunità e avere l’audacia di arrivare alle periferie esistenziali che
hanno bisogno di sentire la vicinanza di Dio”. Il Signore, afferma, “non abbandona
nessuno e mostra sempre la Sua tenerezza e la Sua misericordia inesauribile, quindi,
questo è ciò che bisogna portare a tutta la gente”. L’obiettivo di tutta l’attività
pastorale, riafferma, è sempre essere orientato “dall’impulso missionario di arrivare
a tutti, senza escludere nessuno e tenendo in gran considerazione le circostanze di
ognuno”:
“No se trata de ir como quién impone una nueva obligacion…” “Non
si tratta – spiega – di andare come chi impone un nuovo obbligo, come chi si limita
al rimprovero o al lamento dinanzi a quel che si considera imperfetto o insufficiente”.
Il compito evangelizzatore, ribadisce, “esige molta pazienza”, “cura il grano e non
perde la pace per la presenza della zizzania”. E sa anche, soggiunge, “presentare
il messaggio cristiano in maniera serena e graduale, con il profumo del Vangelo, come
faceva il Signore”. Bisogna “privilegiare, in primo luogo, l’essenziale e più necessario,
cioè la bellezza dell’amore di Dio”. D’altra parte, sottolinea il video-messaggio,
bisogna sforzarsi di essere creativi nei metodi. “Non possiamo – è il suo monito –
rimanere rinchiusi nel luogo comune del si è fatto sempre così”. Il Papa rivolge
dunque il pensiero al vescovo che “conduce la pastorale nella Chiesa” e lo fa “come
il pastore che conosce per nome le sue pecore, le guida con vicinanza, con tenerezza,
con pazienza, manifestando effettivamente la maternità della Chiesa e la misericordia
di Dio”.
“La actitud del verdadero pastor no es la del principe…” “L’atteggiamento
del vero pastore – afferma – non è quello del principe o del mero funzionario attento
principalmente alla disciplina, alle regole, ai meccanismi organizzativi”. Questo,
è il richiamo del Papa, “porta sempre ad una pastorale distante dalla gente, incapace
di favorire ed ottenere l’incontro con Cristo e l’incontro con i fratelli”. Il popolo
di Dio a lui affidato, ribadisce, “ha bisogno che il Vescovo vegli per lui, prendendosi
cura soprattutto di quello che lo mantiene unito e promuove la speranza nei cuori”.
Ha bisogno che “il vescovo sappia discernere, senza spegnerlo, il soffio dello Spirito
Santo che viene da dove vuole, per il bene della Chiesa e la sua missione nel mondo”.
Papa Francesco si sofferma dunque sulla “tentazione del clericalismo”, che, osserva,
“tanto danno fa alla Chiesa in America Latina” ed “è un ostacolo per lo sviluppo della
maturità e della responsabilità cristiana di buona parte del laicato”:
“El
clericalismo entraña una postura auto-referencial…” “Il clericalismo – constata
– implica un atteggiamento autoreferenziale, un atteggiamento di gruppo, che impoverisce
la proiezione verso l’incontro del Signore, che ci fa discepoli, e verso gli uomini
che aspettano l’annuncio”. Perciò, aggiunge, “credo che sia importante, urgente, formare
ministri capaci di prossimità, di incontro, che sappiano infiammare il cuore della
gente, camminare con loro, entrare in dialogo con le sue speranze ed i suoi timori”.
Questo, avverte, è un lavoro che i vescovi “non possono delegare”. Inoltre, prosegue,
“una formazione di qualità richiede strutture solide e durature che preparino ad affrontare
le sfide dei nostri giorni”. Del resto, annota, “la cultura di oggi esige una formazione
seria, bene organizzata”. Io mi chiedo, è l’interrogativo che pone il Papa, “se abbiamo
la capacità autocritica sufficiente per valutare i risultati di seminari molto piccoli,
con carenza di personale formativo sufficiente”. Il Papa dedica la parte finale del
video-messaggio alla vita consacrata che, annota, “è un fermento” di quello che “vuole
il Signore, un fermento che fa crescere la Chiesa”. Dal Papa l’invito ad andare avanti
con “fedeltà creativa al carisma ricevuto per servire la Chiesa”. E conclude, ricordando
Benedetto XVI, che “ogni discepolo è a sua volta, missionario”, “sono le due facce
della stessa medaglia”.