2013-11-16 17:00:02

Il Pontefice ai pellegrini di Guadalupe: non chiudersi in se stessi, la Chiesa sia in stato permanente di missione


La Chiesa sia “in stato permanente di missione”. E’ quanto afferma Papa Francesco in un videomessaggio indirizzato ai partecipanti al pellegrinaggio-incontro promosso al Santuario di Guadalupe in Messico, in corso fino al 19 novembre. L’evento è promosso dalla Pontificia Commissione per l’America Latina insieme ai Cavalieri di Colombo e all’Istituto Superiore di Studi di Guadalupe. Il Papa sottolinea che l’attività pastorale deve essere rivolta a tutti, senza imporre obblighi e rimproveri, e mette in guardia dal clericalismo che è un ostacolo allo sviluppo della responsabilità cristiana del laicato. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

La Chiesa sia “in stato permanente di missione” così che “tutta l’attività abituale delle Chiese particolari abbia un carattere missionario”. E’ l’esortazione di Papa Francesco ai pellegrini riuniti al Santuario di Guadalupe per un incontro sulla nuova evangelizzazione nel Continente latinoamericano. Il Papa sottolinea che “l’uscita missionaria, più che un’attività tra altre è un paradigma” di “tutta l’azione pastorale”. E osserva che “l’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante” che “suppone un uscire da se stessi, un camminare e seminare sempre di nuovo, sempre più in là”:

“Es vital para la Iglesia no encerrarse…”
“E’ vitale per la Chiesa non chiudersi – avverte – non sentirsi già soddisfatta e sicura con quel che ha raggiunto”. Se succede questo, rileva, “la Chiesa si ammala” di “abbondanza immaginaria, di abbondanza superflua, in certo modo fa indigestione e si debilita”. E’ necessario, esorta, “uscire dalla propria comunità e avere l’audacia di arrivare alle periferie esistenziali che hanno bisogno di sentire la vicinanza di Dio”. Il Signore, afferma, “non abbandona nessuno e mostra sempre la Sua tenerezza e la Sua misericordia inesauribile, quindi, questo è ciò che bisogna portare a tutta la gente”. L’obiettivo di tutta l’attività pastorale, riafferma, è sempre essere orientato “dall’impulso missionario di arrivare a tutti, senza escludere nessuno e tenendo in gran considerazione le circostanze di ognuno”:

“No se trata de ir como quién impone una nueva obligacion…”
“Non si tratta – spiega – di andare come chi impone un nuovo obbligo, come chi si limita al rimprovero o al lamento dinanzi a quel che si considera imperfetto o insufficiente”. Il compito evangelizzatore, ribadisce, “esige molta pazienza”, “cura il grano e non perde la pace per la presenza della zizzania”. E sa anche, soggiunge, “presentare il messaggio cristiano in maniera serena e graduale, con il profumo del Vangelo, come faceva il Signore”. Bisogna “privilegiare, in primo luogo, l’essenziale e più necessario, cioè la bellezza dell’amore di Dio”. D’altra parte, sottolinea il video-messaggio, bisogna sforzarsi di essere creativi nei metodi. “Non possiamo – è il suo monito – rimanere rinchiusi nel luogo comune del si è fatto sempre così”. Il Papa rivolge dunque il pensiero al vescovo che “conduce la pastorale nella Chiesa” e lo fa “come il pastore che conosce per nome le sue pecore, le guida con vicinanza, con tenerezza, con pazienza, manifestando effettivamente la maternità della Chiesa e la misericordia di Dio”.

“La actitud del verdadero pastor no es la del principe…”
“L’atteggiamento del vero pastore – afferma – non è quello del principe o del mero funzionario attento principalmente alla disciplina, alle regole, ai meccanismi organizzativi”. Questo, è il richiamo del Papa, “porta sempre ad una pastorale distante dalla gente, incapace di favorire ed ottenere l’incontro con Cristo e l’incontro con i fratelli”. Il popolo di Dio a lui affidato, ribadisce, “ha bisogno che il Vescovo vegli per lui, prendendosi cura soprattutto di quello che lo mantiene unito e promuove la speranza nei cuori”. Ha bisogno che “il vescovo sappia discernere, senza spegnerlo, il soffio dello Spirito Santo che viene da dove vuole, per il bene della Chiesa e la sua missione nel mondo”. Papa Francesco si sofferma dunque sulla “tentazione del clericalismo”, che, osserva, “tanto danno fa alla Chiesa in America Latina” ed “è un ostacolo per lo sviluppo della maturità e della responsabilità cristiana di buona parte del laicato”:

“El clericalismo entraña una postura auto-referencial…”
“Il clericalismo – constata – implica un atteggiamento autoreferenziale, un atteggiamento di gruppo, che impoverisce la proiezione verso l’incontro del Signore, che ci fa discepoli, e verso gli uomini che aspettano l’annuncio”. Perciò, aggiunge, “credo che sia importante, urgente, formare ministri capaci di prossimità, di incontro, che sappiano infiammare il cuore della gente, camminare con loro, entrare in dialogo con le sue speranze ed i suoi timori”. Questo, avverte, è un lavoro che i vescovi “non possono delegare”. Inoltre, prosegue, “una formazione di qualità richiede strutture solide e durature che preparino ad affrontare le sfide dei nostri giorni”. Del resto, annota, “la cultura di oggi esige una formazione seria, bene organizzata”. Io mi chiedo, è l’interrogativo che pone il Papa, “se abbiamo la capacità autocritica sufficiente per valutare i risultati di seminari molto piccoli, con carenza di personale formativo sufficiente”. Il Papa dedica la parte finale del video-messaggio alla vita consacrata che, annota, “è un fermento” di quello che “vuole il Signore, un fermento che fa crescere la Chiesa”. Dal Papa l’invito ad andare avanti con “fedeltà creativa al carisma ricevuto per servire la Chiesa”. E conclude, ricordando Benedetto XVI, che “ogni discepolo è a sua volta, missionario”, “sono le due facce della stessa medaglia”.







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