2013-11-15 14:15:39

Sud Sudan. Messaggio dei vescovi: "la guerra è finita, ora guardare avanti"


Porre fine a corruzione e nepotismo, favorire la trasparenza negli affari pubblici e la riconciliazione tra i cittadini: sono alcuni delle priorità indicate alle autorità di Juba dai vescovi del Sud Sudan, riunitisi nella capitale in vista della conclusione dell’Anno della fede, dichiarato dal Papa emerito Benedetto XVI nell’ottobre 2012. Dopo aver ricordato che “c’è molto da celebrare e per cui essere grati, nella Repubblica del Sud Sudan”, i prelati - riferisce l'agenzia Misna - sottolineano che “la costruzione di una nazione non è un compito semplice” e che “pur essendo coscienti delle urgenze diverse con cui i leader si trovano a fare i conti” i vescovi consigliano di fissare “un numero limitato di obiettivi da raggiungere, assicurandosi che vengano perseguiti, piuttosto che disperdere le proprie forze cercando di fare tutto, correndo il rischio di non ottenere niente. È tempo di riconoscere che il Sud Sudan non è più una nazione in guerra – ammettono – e che se anche ci sono ancora numerose emergenze che che necessitano una risposta umanitaria, il grosso degli sforzi, anche economici, dovrebbero concentrarsi verso lo sviluppo a lungo termine e la sostenibilità, che include l’istruzione delle nuove generazioni”. Tra le sfide che il Paese si trova ad affrontare e che destano ancora “preoccupazione” tra i religiosi, quella delle ribellioni armate, in particolare nella regione di Jonglei: “Invitiamo i cittadini ad essere orgogliosi delle loro origini e culture tribali ma a non lasciarsi trascinare nel tribalismo che contrappone un gruppo ad un altro” affermano i vescovi, chiedendo “di resistere alla “tentazione della violenza”. Riguardo ai rapporti col vicino Sudan, i vescovi si congratulano dell’accordo che ha consentito di recente, di riprendere le esportazioni di petrolio “portando sollievo economico alle popolazioni di entrambi i Paesi”, ma si dicono rattristati dalla “mancanza di progressi in altre aree, come quella relativa alla demarcazione dei confini”. Su Abyei, quindi, i vescovi dicono di “capire la frustrazione della comunità Dinka Ngok” che ha organizzato un referendum per l’autodeterminazione non riconosciuto a livello politico e internazionale “e pregano perché le loro aspirazioni vengano riconosciute” e la pace “torni in quell’area problematica”. Nel completare il quadro del Paese, a due anni e mezzo dall’indipendenza, i vescovi del Sud Sudan ricordano che la minaccia dei ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) esiste ancora, e si sicono “costernati” dalla notizia di un nuovo attacco a Ezo, nella regione medidionale dell’Eastern Equatoria “dopo un periodo in cui i cittadini avevano cominciato a riprendersi dalle loro devastazioni”. Le conclusioni del lungo messaggio sono per la “riconciliazione nazionale e la cura delle ferite”. Entrambe, osservano i vescovi – incoraggiati dalle tante iniziative e dalla nasciata del Comintato per la pace e la riconciliazione creato dal presidente Salva Kiir – “devono essere assoluta priorità per il governo sud sudanese”. (R.P.)







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