Convegno cure palliative: legge in materia è solida ma ci sono resistenze culturali
Prendere in carico il malato globalmente, avviando processi assistenziali integrati.
Sono le sfide ribadite al convegno, nazionale, sulle cure palliative che si è tenuto
ieri presso la Pontificia Università Lateranense. L’iniziativa è stata organizzata
dal "Centro Cure Palliative Fondazione Roma", che quest’anno festeggia il 15.mo di
attività. Nel 1998, rappresentava il solo punto Hospice per tutto il Centro-Sud Italia.
Oggi, la struttura si occupa anche di SLA e Alzheimer. Ieri, dopo il saluto del Rettore
della Pontificia Università Lateranense, mons. Enrico Dal Covolo, hanno partecipato
al Convegno rappresentanti delle strutture impegnate in prima linea nelle cure palliative,
medici, esperti e studiosi. Al microfono di Massimiliano Menichetti, la prof.ssaAdriana Turriziani,presidente della Società Italiana Cure Palliative,
spiega il significato del tema scelto per l’incontro di ieri: “L’Ora delle cure":
R. – Significa
un’attenzione a come garantire al malato la continuità della cura, difficile in questo
percorso dell’inguaribilità. Vuol dire farsi carico di un malato oncologico e non,
identificare precocemente i pazienti che si avvicinano alla fine della vita e quindi
come dare anche cure di qualità.
D. – Lo ribadiamo, quando si usa la parola
“cura” in questo caso non vuol dire risoluzione della malattia, ma vuol dire farsi
carico della persona per accompagnarla verso il percorso del fine vita…
R.
– La presa in carico globale della persona: la globalità vuol dire problematiche fisiche,
psicologiche, sociali e spirituali.
D. – Il paziente che soffre di demenza
o di Alzheimer è un paziente complesso e che cosa vuol dire, in questo caso, applicare
le cure palliative?
R. – Vuol dire avere attenzione precoce, sicuramente introdurre
l’approccio palliativo e quindi un’attenzione profonda ai problemi non solo fisici
del paziente, ma anche generali: dare quindi il supporto anche alla famiglia lungo
il percorso della malattia stessa. Essere presenti come servizio, come modello organizzativo,
ma anche come competenza professionale in questi ambiti, appunto, anche per patologie
non oncologiche.
D. – La Legge 38 del 2010 di fatto ha sancito il diritto
per i malati inguaribili ad accedere alle cure palliative. Qual è la situazione oggi
in Italia?
R. – Abbiamo un impianto normativo forte. Questa legge ha come rivoluzione
dentro di sé che gli altri operatori sanitari, che le altre discipline devono saper
orientare il malato. Intendo dire che se il malato ha già una diagnosi di una patologia
evolutiva, è lì che chi ci precede come terapeuta deve anche saper guidare e orientare
il paziente e la famiglia ai servizi di cure palliative. E qui, ci sono barriere culturali
organizzative da abbattere. Le cure palliative non sono le cure degli ultimi giorni,
ma le cure lungo la traiettoria della patologia. L’altro concetto forte, presente
nella legge, è quello di lavorare in rete: sviluppare i servizi, ma creando omogeneità
e qualità in tutto il territorio, in tutto il Paese, per tutte le patologie, per tutte
le età e per ogni ambito.
D. – L’accesso alle cure palliative si attiva automaticamente
o bisogna chiederlo e come si fa?
R. – Si attiva attraverso il primary systems:
il medico che ha in cura il paziente, che può essere il medico di medicina generale
o il medico dell’ospedale. Il medico individuando il bisogno, segnala il paziente
o all’hospice o all’Unità di cure palliative domiciliare (Ucp).
D.
– Possiamo dire che è un modo per riscoprire la persona nel paziente, piuttosto che
il paziente numero?
R. – Il paziente dovrebbe già esserci, nel Sistema sanitario
nazionale, perché il paziente è già al centro del Sistema sanitario nazionale. Con
la Legge 38, il paziente è anche persona. Perché se parliamo di carico globale, non
ho più solo il paziente, la patologia, ho la persona tutta.
D. – Cura palliativa
vuol dire sì assistenza ospedaliera, ma spesso anche domiciliare. Questo aiuta molto…
R.
– Soprattutto la Unit del futuro sono le cure palliative domiciliari. Lì dove
il paziente ha sempre vissuto e lì dove magari ha diritto di rimanere, è lì che l’équipe
andrà, è lì che l’équipe l’aiuterà.