2013-11-15 14:12:30

Convegno cure palliative: legge in materia è solida ma ci sono resistenze culturali


Prendere in carico il malato globalmente, avviando processi assistenziali integrati. Sono le sfide ribadite al convegno, nazionale, sulle cure palliative che si è tenuto ieri presso la Pontificia Università Lateranense. L’iniziativa è stata organizzata dal "Centro Cure Palliative Fondazione Roma", che quest’anno festeggia il 15.mo di attività. Nel 1998, rappresentava il solo punto Hospice per tutto il Centro-Sud Italia. Oggi, la struttura si occupa anche di SLA e Alzheimer. Ieri, dopo il saluto del Rettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Enrico Dal Covolo, hanno partecipato al Convegno rappresentanti delle strutture impegnate in prima linea nelle cure palliative, medici, esperti e studiosi. Al microfono di Massimiliano Menichetti, la prof.ssa Adriana Turriziani, presidente della Società Italiana Cure Palliative, spiega il significato del tema scelto per l’incontro di ieri: “L’Ora delle cure":RealAudioMP3

R. – Significa un’attenzione a come garantire al malato la continuità della cura, difficile in questo percorso dell’inguaribilità. Vuol dire farsi carico di un malato oncologico e non, identificare precocemente i pazienti che si avvicinano alla fine della vita e quindi come dare anche cure di qualità.

D. – Lo ribadiamo, quando si usa la parola “cura” in questo caso non vuol dire risoluzione della malattia, ma vuol dire farsi carico della persona per accompagnarla verso il percorso del fine vita…

R. – La presa in carico globale della persona: la globalità vuol dire problematiche fisiche, psicologiche, sociali e spirituali.

D. – Il paziente che soffre di demenza o di Alzheimer è un paziente complesso e che cosa vuol dire, in questo caso, applicare le cure palliative?

R. – Vuol dire avere attenzione precoce, sicuramente introdurre l’approccio palliativo e quindi un’attenzione profonda ai problemi non solo fisici del paziente, ma anche generali: dare quindi il supporto anche alla famiglia lungo il percorso della malattia stessa. Essere presenti come servizio, come modello organizzativo, ma anche come competenza professionale in questi ambiti, appunto, anche per patologie non oncologiche.

D. – La Legge 38 del 2010 di fatto ha sancito il diritto per i malati inguaribili ad accedere alle cure palliative. Qual è la situazione oggi in Italia?

R. – Abbiamo un impianto normativo forte. Questa legge ha come rivoluzione dentro di sé che gli altri operatori sanitari, che le altre discipline devono saper orientare il malato. Intendo dire che se il malato ha già una diagnosi di una patologia evolutiva, è lì che chi ci precede come terapeuta deve anche saper guidare e orientare il paziente e la famiglia ai servizi di cure palliative. E qui, ci sono barriere culturali organizzative da abbattere. Le cure palliative non sono le cure degli ultimi giorni, ma le cure lungo la traiettoria della patologia. L’altro concetto forte, presente nella legge, è quello di lavorare in rete: sviluppare i servizi, ma creando omogeneità e qualità in tutto il territorio, in tutto il Paese, per tutte le patologie, per tutte le età e per ogni ambito.

D. – L’accesso alle cure palliative si attiva automaticamente o bisogna chiederlo e come si fa?

R. – Si attiva attraverso il primary systems: il medico che ha in cura il paziente, che può essere il medico di medicina generale o il medico dell’ospedale. Il medico individuando il bisogno, segnala il paziente o all’hospice o all’Unità di cure palliative domiciliare (Ucp).

D. – Possiamo dire che è un modo per riscoprire la persona nel paziente, piuttosto che il paziente numero?

R. – Il paziente dovrebbe già esserci, nel Sistema sanitario nazionale, perché il paziente è già al centro del Sistema sanitario nazionale. Con la Legge 38, il paziente è anche persona. Perché se parliamo di carico globale, non ho più solo il paziente, la patologia, ho la persona tutta.

D. – Cura palliativa vuol dire sì assistenza ospedaliera, ma spesso anche domiciliare. Questo aiuta molto…

R. – Soprattutto la Unit del futuro sono le cure palliative domiciliari. Lì dove il paziente ha sempre vissuto e lì dove magari ha diritto di rimanere, è lì che l’équipe andrà, è lì che l’équipe l’aiuterà.







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