Cina abolisce i campi di lavoro. Modifiche a politica del figlio unico e pena di morte
Mantenendo fede agli annunci dei giorni scorsi, il Partito comunista cinese, durante
la riunione del Comitato centrale che si è chiuso lo scorso 12 novembre a Pechino,
ha varato una serie di importanti riforme nell'ambito dei diritti umani e del sistema
giudiziario. Annunciata oggi l’abolizione del sistema di rieducazione attraverso il
lavoro e della politica del figlio unico, oltre alla riduzione del numero dei crimini
soggetti alla pena di morte. Per un commento su queste aperture, Salvatore Sabatino
ha intervistato Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty
International:
R. – La consideriamo
una importante dichiarazione sulla carta. Non è neanche la prima volta che vengono
fatte promesse di questo tipo. E’ importante che sia stato detto in maniera forte
e chiara che occorrono cambiamenti profondi nell’amministrazione della giustizia in
Cina e staremo a vedere se saranno portati a termine. Se così sarà, sarà stata una
svolta veramente importante.
D. – C’è un altro annuncio molto importante, che
è quello della riduzione del numero dei crimini soggetti alla pena di morte. Che cosa
vuol dire?
R. – Non è la prima volta che viene annunciata una riduzione del
numero dei reati capitali. Il grosso problema in Cina è che tutto questo non è riscontrabile,
giacché l’amministrazione della pena di morte è un segreto di Stato. Quindi, non sappiamo
ancora quante condanne vengono emesse, quante vengono eseguite e per quali reati.
Da questo punto di vista, è un annuncio che considero ancora vuoto.
D. – C’è
stato un ulteriore annuncio che riguarda la politica del figlio unico, che da decenni
obbliga le famiglie cinesi ad avere un solo figlio. Questa politica verrà allentata
e corretta per promuovere - si legge - uno sviluppo equilibrato a lungo termine della
popolazione cinese. Anche questo è un messaggio che va interpretato?
R. – Sì.
Bisogna cercare di capire come verrà attuata questa riforma. Quello che possiamo dire
è che questa normativa penalizzante ha significato sacrifici da parte delle famiglie
e ha anche significato finire in carcere per chi provava a contraddirla. Quindi, attiviste
e attivisti per i diritti umani che contestavano la politica del figlio unico hanno
subito conseguenze molto dure.
D. – La Cina da anni è sotto osservazione per
il miglioramento della situazione dei diritti umani. Quanto queste decisioni possono
essere legate all’esigenza di un Paese, che sta diventando sempre più influente economicamente,
di affacciarsi nell’agone dei Paesi più importanti al mondo?
R. – La Cina ormai
è un attore globale di suprema importanza. In passato, questa sua ascesa nel gruppo
di Paesi che hanno un grande potere decisionale non è stata segnata da un miglioramento
dei diritti umani, anche perché nessun Paese poi glielo chiedeva per timore di rovinare
i propri rapporti con Pechino. Se ora la Cina fa un primo passo è importante, ma naturalmente
rimangono due problemi. Il primo, attuare veramente quello che dicono. Il secondo,
risolvere tutta un’altra serie di questioni legate, ad esempio, agli sgomberi forzati,
alle minoranze, al Tibet, al Xingjang e anche alla politica estera della Cina, che
è una politica spesso di depredamento di risorse di Paesi, in Africa in particolare,
in cambio della fornitura di armamenti.