Congo. Nel nord Kivu l'M23 si divide: una fazione pronta a firmare la pace
A pochi giorni dalla sconfitta militare in Nord Kivu e dalla mancata firma di un accordo
di pace a Kampala, la ribellione del Movimento del 23 marzo (M23) si è divisa in due
fazioni. A dare notizia della scissione è la guida dell’ala che si autodefinisce “realista”,
quello che finora è stato il segretario dell’ufficio politico del’M23, Serge Kambasu
Ngeve. In una conferenza stampa nella capitale ugandese, dove sono naufragati i negoziati
con le autorità di Kinshasa - riferisce l'agenzia Misna - Ngeve ha dichiarato di avere
con sé “la stragrande maggioranza degli esponenti dell’M23 che si rifiuta di essere
ostaggio di una minoranza ferma su posizioni intransigenti e che blocca la conclusione
del processo di pace”. Il capo della nuova fazione ha denunciato “il gioco di parole”
dell’ala ‘dura’ che cerca di imporre il termine di “accordo di pace” mentre Kinshasa
preferisce quello di “dichiarazione” o “conclusioni” per tenere conto della sconfitta
militare dell’M23. Guardando al futuro del gruppo ribelle nato 18 mesi fa, sostenuto
da Rwanda e Uganda, Ngeve ha sottolineato che “questo gioco di parole ha implicazioni
politiche che rischiano di portare al suicidio collettivo della nostra organizzazione”.
Smarcandosi dalle posizioni di Bertrand Bisimwa, capo politico dell’M23, e di René
Abandi, capo negoziatore della ribellione, Ngeve ha affermato di condividere la linea
del governo congolese, dicendosi pronto a firmare il documento conclusivo in cambio
di “amnistia, accantonamento o reinserimento delle nostre truppe alla vita civile”.
Intanto l’Onu ha chiesto al governo di Kinshasa di ideare un piano permanente di smobilitazione,
disarmo e reinserimento (Ddr) che sia applicabile “a tutti gli altri gruppi armati
attivi” in Kivu, insistendo che in assenza di tale piano “pace e sicurezza non potranno
essere garantite a lungo”. Il capo della locale missione Onu (Monusco), Martin Kobler,
ha invece avvertito che “se i gruppi armati si rifiutano di consegnare le armi su
base volontaria, saranno costretti dai caschi blu”, annunciando una linea “dura” nei
confronti di tutti i ribelli ancora attivi nell’instabile provincia mineraria. Rimane
ancora incerto il potenziale numero di ribelli dell’M23 che potrebbero essere coinvolti
nel processo Ddr; variano dai 1400 ai 1700 i combattenti rifugiati in Uganda mentre
quelli che si trovano in Rwanda potrebbero essere soltanto un centinaio. Sul terreno
il ministro dell’Interno congolese Richard Muyej ha annunciato il prossimo dispiegamento
di 300 agenti di unità speciali della polizia nei territori di Rutshuru e Nyiragongo
per “consolidare la sicurezza” e “ristabilire l’autorità dello Stato”. Inoltre verrà
istituito un comitato di crisi incaricato della gestione “trasparente degli aiuti
umanitari da destinare alle popolazioni in difficoltà”. La Monusco ha invece smentito
la presenza di soldati ruandesi in territorio congolese, denunciata nei giorni scorsi
dalla società civile del Nord Kivu. Nonostante la vittoria dell’esercito regolare
(Fardc), società civile e difensori dei diritti umani hanno già espresso “preoccupazione”
per il rischio di una contro-offensiva ruandese e di un tentativo di riorganizzazione
dei ribelli rifugiati nel confinante Uganda. (R.P.)