Somalia. Emergenza inondazioni nel Puntland, si temono almeno 300 morti
Potrebbe salire ad almeno 300 morti il bilancio della violenta tempesta abbattutasi
nei giorni scorsi sul Puntland, regione semi-autonoma nel nord-est della Somalia.
"Le piogge torrenziali, i forti venti e gli allagamenti hanno creato uno stato d'emergenza",
hanno fatto sapere le autorità locali, che parlano anche di centinaia di dispersi.
I distretti più colpiti dalla tempesta, in un'area già poverissima, sono stati quelli
di Eyl, Beyla, Dongorayo e Hafun, lungo la costa orientale, e quello di Alula, sulla
punta del Corno d'Africa. Si stima che siano andati perduti 100 mila capi di bestiame,
mettendo a rischio la sussistenza per decine di migliaia di persone. Sulla situazione
nel Puntland, Giada Aquilino ha intervistato Fulvia Boniardi, del Gruppo
per le relazioni transculturali (Grt), ong impegnata nella regione dal ’92 con progetti
psicosociali e a favore dell’infanzia e delle donne:
R. – Le zone
più colpite sono quelle della costa, delle regioni di Bari e Nugal. Comunque, le inondazioni
hanno colpito tutta l’area del Puntland sia le zone delle città, sia le zone più rurali,
della costa ed anche le aree dove noi, come Grt, lavoriamo più insistentemente: cioè
nei campi per rifugiati e sfollati interni.
D. – Cosa serve nelle zone colpite
dalle tempeste in questo momento?
R. – Un po’ tutto. Il governo del Puntland
ha approntato missioni specifiche per verificare la situazione e per programmare i
supporti e gli aiuti. Sono iniziate le distribuzioni di materiali di prima necessità
– come coperte e cibo – ma ci sono zone colpite ancora non accessibili e questo rende
più critico l’intervento. Inoltre, ci sono strade impraticabili, gli aeroporti chiusi
sono stati riaperti questa mattina. Peraltro, sono aeroporti molto piccoli quindi
con difficoltà di comunicazione e di accesso alle varie zone.
D. – Si tratta,
tra l’altro, di zone poverissime…
R. – Sì. La Somalia in generale non è un
Paese che attraversa momenti felicissimi, ormai da anni. Purtroppo, ancora oggi ci
sono condizioni di vita molto povere, specialmente per tutta la popolazione di rifugiati
e sfollati interni arrivati nel Puntland e in altre zone dal Sud della Somalia, che
è stata colpita da carestia e dalla guerra. Il Puntland era ed è tutt’ora una zona
di rifugio per molti: ma queste persone, quando arrivano, vivono in condizioni davvero
precarie nei campi, con soluzioni abitative che spesso sono fatte di cartone e stoffe,
con accesso ai servizi estremamente limitato. Ci sono grosse difficoltà a livello
di acque stagnanti – che quindi possono portare anche a problemi e rischi di epidemie
– e di accesso all’acqua potabile.
D. – La vostra ong, il Gruppo per le relazioni
transculturali, è impegnata in Puntland dai primi anni Novanta. Di cosa vi occupate?
R.
– Grt nasce come una ong specializzata in interventi di salute mentale e supporto
psicosociale. Nel corso degli anni, poi, abbiamo espanso l’intervento all’area di
protezione dell’infanzia e della violenza di genere. Al momento, in Puntland lavoriamo
in tre diverse località: Garowe, sede del governo semi-autonomo, Bosaso – che si trova
sulla costa nord davanti allo Yemen – e Galkayo, che è invece al confine con la parte
meridionale. Lavoriamo soprattutto all’interno dei campi di rifugiati e sfollati interni,
con interventi a favore delle donne vittime di violenze di genere e dei bambini vittime
di violenza, a cui forniamo supporto psicosociale e poi un aiuto completo. Ci occupiamo
anche di una parte dell’educazione per i rifugiati che si trovano in Puntland e di
un servizio di salute primaria tramite un progetto finanziato da Unhcr.