2013-11-13 14:17:07

Israele interrompe progetto di 20 mila nuovi alloggi. L'analista: ma c'è chi soffia sulla crisi


Tensione in Medio oriente dopo l’uccisione ieri di un soldato israeliano ad Afula, vicino Nazareth per mano di un diciassettenne della Cisgiordania che voleva vendicare l'arresto di suoi congiunti da parte dell'esercito di Tel Aviv. Numerose le manifestazioni di protesta che ne sono seguite e lo scambio reciproco di accuse a livello politico. Intanto nonostante il premier israeliano Netanyahu abbia fatto sapere di voler interrompere il già annunciato progetto di 20 mila nuovi alloggi per i coloni nei Territori, i negoziatori palestinesi nelle trattative di pace mediate dagli Usa, si sono dimessi.

Per valutare se si possa considerare un’inversione di tendenza rispetto alla politica israeliana, Fausta Speranza ha chiesto l'opinione di Claudio Lo Jacono, direttore della rivista Oriente moderno:RealAudioMP3

R. – Spero sia un impegno sincero. Cosa penso? Che questo fa parte del solito gioco del tira e molla, per cui gli insediamenti costruiti sul territorio occupato palestinese diventano un argomento per trattative e per premere sul governo di Abu Mazen in un senso o nell’altro. Nel momento dello scontro si dà il via alle costruzioni, mentre nel momento in cui si vuole – per qualsiasi motivo – arrivare invece a un dialogo più aperto, rispetto alla chiusura e addirittura alla rottura paventata, allora si fa un passo di buona volontà. Che questo si realizzi, non si può sapere, perché non è dato credere alle promesse dell’una e dell’altra parte in queste trattative, che non hanno fine dagli accordi di Oslo in poi.

D. – Dunque, non si riesce a uscire dallo stallo di ormai tre anni, nonostante tutti i tentativi del segretario di Stato Usa, Kerry nella regione...

R. – Certamente no. Con un governo, diciamo, oltranzista come quello guidato da Netanyahu, per quanto possa essere stato ammorbidito dalle recenti elezioni e dal recupero di formazioni non sicuramente di estrema destra, è difficile arrivare a fare un dialogo con una parte che è schiacciata in un angolo, perché – per intenderci chiaramente – i piani sono ben diversi: Israele è uno Stato autorevole, forte, con una credibilità anche internazionale di lunga data. l’Autorità nazionale palestinese è un abbozzo di Stato, sottoposto al placet delle grandi potenze e di Israele e ha, tra l’altro, uno scarso controllo di tutte le sue componenti ideologiche e politiche. Per cui, il tutto è da vedere, passo dopo passo. Ci vuole buona volontà, in questo caso secondo me la deve dimostrare Israele.

D. – Vogliamo dire a chi interessa rimanere nello status quo?

R. – Io credo che interessi ad altre potenze fuori di questa regione. Non interessa neppure all’Iran in questo momento, con la nuova presidenza che vorrebbe arrivare a un accordo con gli Stati Uniti e dunque placare, in qualche modo, anche le giustificate paure di Israele su una possibile arma atomica, alla quale io non credo molto, ma che è comunque nelle possibilità. Può servire, naturalmente, a chi vuole soffiare sul fuoco delle guerre nell’area vicino orientale. Sappiamo quello che sta succedendo da anni e non parlo del Nord Africa, dell’Egitto e della Siria, dell’Iraq di pochi anni fa o di oggi, che è ancora in una situazione assolutamente drammatica. E in questi contesti non sono solo i protagonisti ad agire, ci sono cause di instabilità e impossibilità di arrivare a una soluzione equa. Dunque, chi ha questo interesse – e sono anche Stati arabi, naturalmente, e non si parla chissà di quali potenze o superpotenza – a mantenere instabile questa area, naturalmente non favorisce e non vede con piacere un accordo tra degli accomodanti israeliani e degli accomodanti palestinesi. Si soffia sul fuoco degli estremismi, perché si ha da guadagnare dalla instabilità dell’intera regione vicino orientale.

Ultimo aggiornamento: 14 novembre







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