Congo. Nord Kivu: si allontana l'accordo con M23. Soldati rwandesi a 3 km da Goma
Anche se la mediazione ugandese ha assicurato che le trattative “non sono state ufficialmente
interrotte” tra il governo congolese e i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23),
nei fatti la firma di un accordo sembra allontanarsi. A poche ore dalla mancata firma,
prevista inizialmente per lunedì scorso in Uganda, guadagnano sempre più spazio sospetti
e critiche tra le parti. Il ministro degli Esteri congolese, Raymond Tshibanda - riferisce
l'agenzia Misna - è già tornato a Kinshasa e nelle prossime ore dovrebbe rientrare
anche il resto della delegazione governativa. Sono dure le dichiarazioni rilasciate
finora da fonti dell’esecutivo congolese. “Ci sembra che l’Uganda stia agendo come
parte del conflitto. Ha interessi diretti nell’M23” ha detto il portavoce del governo,
Lambert Mende; parole che rispecchiano il clima di sfiducia che vige al livello regionale.
Per François Muamba, coordinatore congolese dell’attuazione dell’accordo di Addis
Abeba – siglato lo scorso febbraio da 11 Paesi africani per riportare la pace in Nord
Kivu – “la mediazione ugandese doveva semplicemente fare la parte del medico legale
per costatare la morte dell’M23 e la fine della guerra, non grazie alla firma di un
accordo ma perché il movimento è stato sconfitto, cacciato e deve scomparire”. E’
con questa motivazione che Kinshasa ha ribadito che non può trattarsi di un “accordo”
ma di una “dichiarazione d’intenti”, aggiungendo che “il documento non può dare una
lettura sbagliata o di parte di quanto è accaduto sul terreno, sarebbe un rischio
per il futuro” si legge sul sito dell’emittente Radio Okapi. Intanto gli inviati speciali
dell’Onu, dell’Unione Africana, dell’Unione Europea e di Washington, che si trovavano
ad Entebbe per assistere alla cerimonia di firma dell’accordo, hanno invitato le parti
a “risolvere le divergenze sul fondo e la forma dell’accordo”, ribadendo il loro attaccamento
a “una soluzione pacifica e politica del conflitto”. Per ora non ci sono state reazioni
ufficiali da parte del capo politico dell’M23 Bertrand Bisimwa, né dal capo militare
Sultani Makenga, che si trovano entrambi in territorio ugandese. Dal Nord Kivu è invece
giunta la conferma della presenza di un centinaio di militari ruandesi nella zona
di Murambi, a pochi chilometri dall’aeroporto di Goma, il capoluogo provinciale, a
di “importanti concentrazioni di armi ed equipaggiamenti”. Secondo alcuni osservatori
e giornalisti la fine dell’M23 significa “la fine di una battaglia piuttosto che la
fine della guerra”. Inoltre si temono vendette incrociate e regolamenti di conti tra
le varie comunità locali dopo l’arresto di diversi civili accusati di “complicità
con l’M23″ nelle località riconquistate dall’esercito congolese all’inizio del mese,
in particolare a Kiwanja, Bunagana e Rutshuru. Sulla mancat a firma dell'accordo a
Kampala, Cecilia Sabelli ha intervistato Jean-LeonardTouadi,
politico e accademico italiano, originario del Congo Brazzaville:
R. - Intanto,
che si sia arrivati in pochissimo tempo a mettere intorno a un tavolo un po’ tutti
gli attori di questo conflitto, è un grande successo. La sconfitta dei ribelli è di
soli pochi giorni e già siamo intorno a un tavolo per negoziare. Ovviamente, un conflitto
che dura da così tanto tempo non può terminare con un accordo frettoloso, cominciando
già da come chiamarlo: “accordo” oppure “conclusione”? Perché è chiaro che per il
governo congolese “accordo” vuol dire dare una riconoscibilità, un titolo ufficiale
e quindi anche una credibilità politica al movimento. La “conclusione”, invece, è
tra ribellione e governo. Sostanzialmente, un accordo si conclude tra due pari e per
il governo congolese dare questa parità, questa riconoscibilità di interlocuzione
politica all’M23 nel momento in cui è più debole militarmente e quindi con la possibilità
che possa uscire di scena, rappresenterebbe una specie di aiuto che viene dato a questo
movimento.
D. - Ma esiste una volontà comune e una speranza che questi colloqui
si concludano con la firma di una pace?
R. – La guerra alla fine ha colpito
le 4-5 milioni di persone che sono morte, gli sfollati e le migliaia di donne stuprate,
ma ha danneggiato anche lo sviluppo regionale di Paesi come Uganda, Rwanda, che aspirano
velocemente a una crescita economica. Quindi la pace - e questa è la consapevolezza
tardiva - alla fine conviene, conviene a tutti. Conviene al Congo, ma conviene anche
ai vicini del Congo. Dopodiché, le “scorie” di questa durissima e tragica guerra saranno
molto lunghe da cancellare. Ma questa consapevolezza penso che ormai cominci a emergere
e questo promette bene, nel senso che tradurre i motivi del contenzioso nella regione
in motivi di cooperazione non può che giovare.
D. - Si può sperare che questo
accordo scoraggi nuove azioni dei gruppi ribelli, che continuano a minacciare la stabilità
della regione?
R. - Tutto dipende dalla solidità dell’accordo regionale e soprattutto
dal fatto che nessuno dei Paesi della regione possa avere interesse ad aizzare una
ribellione: se la consapevolezza che io intravedo della pace, che è conveniente rispetto
alla guerra, dovesse crescere e rafforzarsi, i piccoli movimenti finiranno per essere,
anche lì, assorbiti in questo accordo regionale solido.