Filippine: 10.000 morti. Preghiera silenziosa del Papa all'Angelus per le vittime
del tifone
Preghiere e aiuti concreti ha chiesto il Papa all’Angelus per la popolazione filippina
travolta dal tifone Haiyan, il più violento ad aver mai colpito il Paese asiatico.
Una tragedia in atto: oltre 10 mila i morti stimati nella sola isola di Leyte e altri
300 a Samar. Papa Francesco, attraverso Cor Unum, ha inviato un primo contributo di
150mila dollari per il soccorso alle popolazioni. Ma ascoltiamo l’appello accorato
di Francesco:
“Desidero
assicurare la mia vicinanza alle popolazioni delle Filippine e di quella regione,
che sono state colpite da un tremendo tifone. Purtroppo le vittime sono tante e i
danni enormi. Preghiamo un attimo in silenzio, e poi alla Madonna, per questi nostri
fratelli e sorelle, e cerchiamo di far giungere ad essi anche il nostro aiuto concreto.
Preghiamo in silenzio”. (Recita "Ave Maria")
Il Papa ha anche espresso
il suo cordoglio al presidente filippino Benigno Aquino, in un telegramma a firma
del segretario di Stato, mons. Pietro Parolin, dove si dice "profondamente addolorato
per la distruzione e la perdita di vite umane", solidale "con tutte le persone colpite
dal tifone", vicino a "coloro che piangono la perdita dei loro cari" o "che hanno
perso le loro case", incoraggiando le autorità civili e i soccorritori e invocando
la benedizione di Dio perchè dia "forza e consolazione alla Nazione."
Devastanti,
dunque, gli effetti del tifone Haiyan che si abbattuto sulle Filippine. Il drammatico
conteggio delle vittime parla di oltre 10mila morti, ma il bilancio resta purtroppo
provvisorio. Rasi al suolo interi centri abitati.Nelle ultime ore il tifone ha toccato
terra in Vietnam ma fortunatamente ha esaurito quasi tutta la sua forza. Il servizio
è di Stefano Vecchia:
A distanza
di tre giorni da passaggio del tifone Haiyan, due elementi confermano la vastità della
tragedia filippina: l'impossibilità di una conta ufficiale delle vittime, seppure
approssimativa, e i saccheggi che da due giorni si susseguono da parte di profittatori,
indubbiamente, ma soprattutto di una popolazione disperata che manca di cibo, acqua
potabile ed elettricità. Anche di medicinali essenziali. A partire dalla città-simbolo
della catastrofe: Tacloban, dove è stato dichiarato lo stato di emergenza. Il suo
aeroporto funziona soltanto per pochi voli militari che portano aiuti, spesso gli
unici possibili nella devastazione che interessa l'isola di Leyte. Il sindaco parla
di 10mila morti nella sola città, che ne contava 200mila, e il governatore dell'isola-provincia
ipotizza 20mila vittime incluse le migliaia di dispersi. Ieri erano 500 i cadaveri
raccolti negli hangar semidistrutti dell'aeroporto. Ma la devastazione include un
gran numero di centri abitati come pure di piccole comunità sparse sulla costa o all'interno
della regione centrale delle Filippine. Trecento i morti accertati sull'isola di Samar,
dove vi sono almeno 2000 dispersi. Tutte valutazioni, unica certezza, la scarsità
se non mancanza assoluta dei soccorsi in molte aree e la disperazione crescente della
popolazione Nella devastazione delle già precarie infrastrutture della regione, con
scali aerei e porti inagibili e una grande difficoltà a far filtrare i soccorsi verso
l'interno, l'impegno internazionale, già ampio almeno per quanto dichiarato da Unione
Europea, Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Canada, Giappone e un gran numero
di organizzazioni internazionali rischiano soltanto di accumularsi nei magazzini degli
aeroporti di Manila o Cebu. Per questo è prioritario ristabilire le comunicazioni
radio e telefoniche e le linee elettriche. Sono ora stimati in nove milioni e mezzo
gli abitanti colpiti e il presidente Benigno Aquino, che ieri ha visitato Tacloban,
ha avvertito che il bilancio dei danni e delle vittime è lontano dall'essere definitivo.
Ma per saperne di più sulla situazione nel Paese e lo stato dei soccorsi,
Marco Guerra ha intervistato padre Giovanni Re, missionario del Pime nelle
Filippine:
R. - L’immagine
è peggiore di quello che ci si aspettasse, perché era già stato preannunciato che
sarebbe stato un super-tifone e quindi, già da due giorni prima che arrivasse il tifone,
parecchia gente era stata spostata in luoghi un po’ più sicuri. Più che i danni sono
i morti che sorprendono, proprio per questa preparazione che era stata fatta…
D.
- Quindi non era una tragedia evitabile: si è fatto tutto il possibile?
R.
- So che il presidente si è lamentato, perché anche lui non si aspettava un numero
così alto di morti. Anche lui adesso vorrebbe chiedere e aprire una inchiesta per
capire come mai sia potuto succedere tutto questo. Però purtroppo la violenza di questo
super-tifone, probabilmente, è andata al di là anche delle più peggiori aspettative.
D. - Nelle aree più colpite, qual è la situazione dei soccorsi?
R.
- Questo è il vero problema attuale. In molte zone colpite, quelle più devastate,
c’è ancora mancanza di elettricità e anche di comunicazione: quindi telefono e anche
con i cellulari è molto, molto difficile… Di conseguenza la priorità, stabilita dal
governo, è stata proprio quella di riportare al più presto possibile l’elettricità
e soprattutto di ristabilire le comunicazioni. Quindi bisognerà aspettare ancora alcuni
giorni per avere un’idea più definitiva di quello che è veramente successo. Ci sono
ancora alcune zone isolate: le stanno raggiunge adesso…
D. - Qual è l’emergenza
più urgente da risolvere nelle aree colpite?
R. - Per la gente comune è certamente
cibo, medicine e un posto dove stare a dormire. Da un punto di vista logistico, invece,
oltre a ristabilire ovunque l’elettricità e le comunicazioni, serve sgomberare le
strade per poter raggiungere al più presto i posti più colpiti. Già tutti si sono
mossi e stanno facendo - come sempre - una raccolta di fondi e di materiale da mandare
alla gente che ha bisogno. Anche la Chiesa, che è molto radicata nelle varie zone,
sicuramente farà la sua parte - come ha sempre fatto anche in passato - usando le
diocesi e le varie organizzazioni all’interno delle diocesi.