Prefazione del Papa al libro del card. Bertone “La diplomazia pontificia in un mondo
globalizzato”
Martedì 12 novembre alle ore 17, nell’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano, sarà presentato
il libro del cardinale Tarcisio Bertone intitolato “La diplomazia pontificia in un
mondo globalizzato”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana. Il volume ha la prefazione
di Papa Francesco che pubblichiamo di seguito:
Sfida per il futuro
Con
questo volume, il cardinale Tarcisio Bertone consegna a coloro che sono impegnati
nel servizio diplomatico della Santa Sede, e non solo, un'abbondante serie di riflessioni
sulle principali questioni che riguardano la vita della comunità delle Nazioni e toccano
da vicino le aspirazioni più profonde della famiglia umana: la pace, lo sviluppo,
i diritti umani, la libertà religiosa, l'integrazione sovranazionale.
Per la
diplomazia pontificia, poi, si tratta di preziose indicazioni che consentono di coglierne
l'unicità, ad iniziare dalla figura del diplomatico, sacerdote e pastore, chiamato
ad un'azione che, pur mantenendo il rigoroso profilo istituzionale, è impregnata di
afflato pastorale; azione che del cardinale Bertone ha caratterizzato il settennato
di servizio come segretario di Stato, a sostegno generoso e fedele del pontificato
di Benedetto XVI. Il suo servizio al vertice, sia nella sfera più amministrativa della
Curia romana, sia in quella dei rapporti internazionali della Santa Sede, si è opportunamente
prolungato durante i primi mesi del mio pontificato. La sua pacata e matura esperienza
di servitore della Chiesa ha aiutato anche me, chiamato alla sede di Pietro da un
Paese lontano, nell'avvio di un insieme di relazioni istituzionali doverose per un
Pontefice.
L'incontro con la figura del cardinale Tarcisio Bertone, nota per
il suo ruolo e la sua personalità gioviale, ha avuto per me, nel passato, tre particolari
momenti. Ricordo anzitutto il primo approccio alla Torre San Giovanni in Vaticano
l'11 gennaio 2007 dove sono stato in visita con la Presidenza della Conferenza Episcopale
argentina: uno scambio molto sereno e nello stesso tempo assai costruttivo sui problemi
che allora ci assillavano. Quando nel 2007, egli si è recato in Argentina come Legato
pontificio per la celebrazione della beatificazione di Zeffirino Namuncurá, il suo
tratto fraterno nell'incontrare i vescovi della Conferenza episcopale, l'affabilità
tutta salesiana nel trattare con la gente dopo ogni celebrazione pubblica, avevano
riscosso il mio interesse e la mia ammirazione. Il cardinale Bertone, nei suoi colloqui
con le maggiori istanze politiche della nazione aveva sottolineato l'apporto della
Chiesa nella pacificazione e riconciliazione, necessari per rigenerare il tessuto
sociale lacerato da tante situazioni che avevano messo in pericolo la concordia nazionale,
e con ciò aveva dato un prezioso sostegno all'opera intrapresa dall'episcopato argentino
per ricostruire il tessuto etico, sociale e istituzionale del Paese.
Qualche
mese prima dello stesso anno aveva avuto luogo in Brasile la V Conferenza generale
dell'episcopato latinoamericano e dei Caraibi (9-14 maggio 2007) alla quale ho partecipato
in qualità di primate della Chiesa di Argentina. Lì trovai il cardinale Bertone, che
accompagnava Papa Benedetto XVI, interessato non solo agli aspetti ecclesiali salienti,
ma alla dimensione sociale e culturale presentati nel documento finale e affidati
in primo luogo alle comunità ecclesiali latino-americane.
Un interesse che
riappare scorrendo l'insieme dei suoi interventi pronunciati in diverse aree geografiche,
rivolti sia all'interno della Chiesa e delle sue strutture, sia di fronte alle istanze
politiche dei diversi Stati e a pubblici eterogenei.
Ci si accorge subito
di un'attenzione rivolta alla crisi che stiamo vivendo, globale e complessa, che rende
concreta l'idea di un mondo senza confini. La crisi, però, se è una certezza per tutti,
ci interroga sulle scelte sin qui fatte e sulla direzione che in futuro intendiamo
seguire, richiamando la responsabilità delle persone e delle istituzioni per eliminare
le tante barriere che hanno sostituito i confini: disuguaglianze, corsa agli armamenti,
sottosviluppo, violazione dei diritti fondamentali, discriminazioni, impedimenti alla
vita sociale, culturale, religiosa.
Questo domanda una riflessione realistica
non solo sul nostro piccolo mondo quotidiano, ma anche sulla natura dei legami che
uniscono la comunità internazionale e delle tensioni presenti al suo interno. Lo sa
bene l'azione della diplomazia che attraverso i suoi protagonisti, le sue regole e
i suoi metodi è strumento concorrente alla costruzione del bene comune, chiamato anzitutto
a leggere i fatti internazionali, che è poi un modo di interpretare la realtà. Questa
realtà siamo noi, la famiglia umana in movimento, quasi un'opera in continua costruzione
che include il luogo e il tempo in cui si incarna la nostra storia di donne e di uomini,
di comunità, di popoli. La diplomazia è, dunque, un servizio, non un'attività ostaggio
di interessi particolari dei quali guerre, conflitti interni e forme diverse di violenza
sono la logica, ma amara, conseguenza; né strumento delle esigenze di pochi che escludono
le maggioranze, generano povertà ed emarginazione, tollerano ogni genere di corruzione,
producono privilegi e ingiustizie.
La crisi profonda di convinzioni, di valori,
di idee offre all'attività diplomatica una nuova opportunità, che è allo stesso tempo
una sfida. La sfida di concorrere a realizzare tra i diversi popoli delle nuove relazioni
veramente giuste e solidali per cui ogni Nazione e tutte le persone siano rispettate
nella loro identità e dignità, e promosse nella loro libertà. In tal modo i diversi
Paesi avranno modo di progettare il loro avvenire, così come le persone potranno scegliere
i modi per realizzare le loro aspirazioni di creature fatte a immagine del creatore.
In questa fase storica la comunità internazionale, le sue regole e le sue
istituzioni si trovano, infatti, obbligate a scegliere una direzione che riprenda
le loro rispettive radici costitutive e porti la famiglia umana verso un futuro che
non solo parli il linguaggio della pace e dello sviluppo, ma sia capace nei fatti
di includere tutti, evitando che qualcuno resti ai margini. Questo significa superare
l'attuale situazione nella vita degli Stati e in quella internazionale che vede l'assenza
di convinzioni forti e di programmi sul lungo periodo intrecciarsi con la profonda
crisi di quei valori che da sempre fondano i legami sociali.
Di fronte a questa
globalizzazione negativa che è paralizzante, la diplomazia è chiamata a intraprendere
un compito di ricostruzione riscoprendo la sua dimensione profetica, determinando
quella che potremo chiamare utopia del bene, e se necessario rivendicandola. Non si
tratta di abbandonare quel sano realismo che di ogni diplomatico è una virtù non una
tecnica, ma di superare il dominio del contingente, il limite di un'azione pragmatica
che spesso ha il sapore dell'involuzione. Un modo di pensare e di agire che, se prevale,
limita qualsiasi azione sociale e politica e impedisce la costruzione del bene comune.
La vera utopia del bene, che non è un'ideologia né sola filantropia, attraverso
l'azione diplomatica può esprimere e consolidare quella fraternità presente nelle
radici della famiglia umana e da lì chiamata a crescere, a espandersi per dare i suoi
frutti. Una diplomazia rinnovata significa diplomatici nuovi, e cioè capaci di
ridare alla vita internazionale il senso della comunità rompendo la logica dell'individualismo,
della competizione sleale, del desiderio di primeggiare, promuovendo piuttosto un'etica
della solidarietà capace di sostituire quella della potenza, ormai ridotta ad un modello
di pensiero per giustificare la forza. Proprio quella forza che contribuisce a spezzare
i legami sociali e strutturali tra i diversi popoli, e allo stesso tempo a distruggere
i vincoli che legano ognuno di noi ad altre persone fino al punto di condividere lo
stesso destino. La direzione che prenderanno i rapporti internazionali sarà allora
legata all'immagine che abbiamo dell'altro: persona, popolo, Stato.
Ecco la
chiave della rinascita di quella unità tra i popoli che fa sue le differenze senza
ignorare gli elementi storici, politici, religiosi, biologici, psicologici e sociali
che sono espressione di diversità. Anche di fronte a limiti, condizionamenti, ostacoli
è possibile fondere e integrare i comportamenti, i valori e le regole che si sono
andati costituendo nel tempo.
La prospettiva cristiana sa valutare sia ciò
che è autenticamente umano sia quanto scaturisce dalla libertà della persona, dalla
sua apertura al nuovo, in definitiva dal suo spirito che unisce la dimensione umana
alla dimensione trascendente. Questo è uno dei contributi che la diplomazia pontificia
offre all'umanità intera, operando per far rinascere la dimensione morale nei rapporti
internazionali, quella che permette alla famiglia umana di vivere e svilupparsi assieme,
senza diventare nemici gli uni degli altri. Se l'uomo manifesta la sua umanità nella
comunicazione, nella relazione, nell'amore verso i propri simili, le diverse Nazioni
possono legarsi intorno a obiettivi e pratiche condivise, e generare così un sentire
comune ben radicato. Ancora di più possono dar vita a istituzioni unitarie in seno
alla comunità internazionale, capaci di compiere un servizio senza che ciò neghi l'identità,
la dignità e la libertà responsabile di ogni Paese. Il servizio di queste istituzioni
sarà di chinarsi davanti al bisogno dei diversi popoli, scoprendo cioè le capacità
e le necessità dell'altro. È il rifiuto dell'indifferenza o di una cooperazione internazionale
frutto dell'egoismo utilitaristico, per fare invece attraverso organi comuni qualcosa
per gli altri.
Il servizio così, non è semplicemente un impegno etico o una
forma di volontariato, né un obiettivo ideale, ma una scelta frutto di un vincolo
sociale basato su quell'amore capace di costruire una nuova umanità, un nuovo modo
di vivere. Non sarà facendo prevalere la ragion di Stato o l'individualismo che elimineremo
i conflitti o daremo ai diritti della persona la giusta collocazione. Il diritto più
importante di un popolo e di una persona non sta nel non essere impedito di realizzare
le proprie aspirazioni, bensì nel realizzarle effettivamente e integralmente. Non
basta evitare l'ingiustizia, se non si promuove la giustizia. Non è sufficiente proteggere
i bambini dall'abbandono, dagli abusi e dai maltrattamenti, se non si educano i giovani
ad un amore pieno e gratuito per l'esistenza umana nelle sue diverse fasi, se non
si danno alle famiglie tutte le risorse di cui hanno bisogno per compiere la loro
imprescindibile missione, se non si favorisce in tutta la società un atteggiamento
di accoglienza e di amore per la vita di tutti e di ciascuno dei suoi membri.
Una
comunità degli Stati matura sarà quella in cui la libertà dei suoi membri è pienamente
responsabile della libertà degli altri, sulla base dell'amore che è solidarietà operante.
Questa, però, non è qualcosa che cresce spontaneamente, ma implica la necessità di
investire lavoro, pazienza, impegno quotidiano, sincerità, umiltà, professionalità.
Non è questa la via maestra che la diplomazia è chiamata a percorrere in questo XXI
secolo?
Sono tanti e pregnanti gli spunti di questo lavoro che dimostra quanto
il cardinale Bertone abbia saputo presentare l'annuncio evangelico, i valori e le
grandi istanze della dottrina della Chiesa, in conformità con le linee portanti del
magistero di Benedetto XVI, con quell'equilibrio e quella sobrietà necessari a favorire
una cultura del dialogo, propria della Santa Sede.
Il metro della vita dei
servitori della Chiesa non è dettato da quel "stampare una notizia a grandi lettere,
perché la gente pensi che sia indiscutibilmente vera" (Jorge Luis Borges), anzi è
intessuto, pur nei limiti inerenti alla condizione e possibilità di ciascuno, dalla
silenziosa e generosa dedizione al bene autentico del corpo di Cristo e al servizio
duraturo della causa dell'uomo. Perciò la storia, la cui misura è la verità della
croce, renderà evidente l'intensa azione del cardinale Bertone, che ha dimostrato
anche di avere la tempra piemontese del gran lavoratore che non lesina nelle fatiche
nel promuovere il bene della Chiesa, preparato culturalmente e intellettualmente e
animato da una serena forza interiore che ricorda la parola dell'apostolo delle genti:
"Di null'altro mai ci glorieremo se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore:
egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di Lui siamo stati salvati
e liberati" (Galati, 6, 14).